Mar. Giu 17th, 2025

P. Algisi

Redattore presso Nuova Isola. Istruttore di Arti Marziali qualificato. Cintura nera 8° Dan Karate Shotokan.

[MAESTRI DELLA STORIA] Yamaguchi Gogen “Il gatto”

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Yamaguchi Gogen nacque il 20 gennaio del 1909 nell’isola di Kyusho (Isola del sole) a pochi mesi dalla sua nascita, i suoi genitori decisero di trasferirsi nell’isola di Kagoshima.

Lo chiamavano il gatto perché possedeva abilità sorprendenti, il suo sguardo insieme alla sua fama, senza dubbio, gli bastavano per pietrificare o immobilizzare qualsiasi avversario, come il gatto paralizza i topi.

Il motivo di questo spostamento di domicilio era dovuto ad un vulcano

Tutt’oggi attivo, si trovava molto vicino all’isola dove risiedevano, precisamente in quella di Sakarima.

Per questo motivo la prima tappa della sua vita si svolse a Kagoshima, nel seno di una modesta famiglia di commercianti.

Suo padre Yamaguchi Tokutaro, anche se era un piccolo commerciante, discendeva da una famiglia di Samurai, tuttavia i suoi mezzi erano scarsi e non bastavano a mantenere tutta la sua prole, (aveva 10 figli).

Gogen dimostrò sin dall’infanzia un grande entusiasmo per le arti marziali

Gogen era il terzo e come tutti i suoi fratelli, dimostrò sin dall’infanzia un grande entusiasmo per le arti marziali.

I suoi primi contatti con esse furono attraverso il Kendo, poi praticò anche il Judo.

Il suo maestro di Kendo fu Toshiakai Kirino, un grande esperto di quest’arte il quale era famoso in tutto il Giappone per le sue prodezze con la sciabola.

Tale era la sua destrezza con questa arma che era capace di tagliare nell’aria una goccia d’acqua e rinfoderare la sua Katana prima che questa cadesse al suolo.

Tutto faceva prevedere che il Bushido sarebbe stata la sua strada

Rapidamente iniziò ad emergere nel paese per il grande entusiasmo e la dedizione che dimostrava per il Kendo. Tanti furono gli elogi che gli fecero.

Ad Okinawa si accorse di lui il Sensei Maruta

Quest’ultimo era un carpentiere di Okinawa, una persona umile ed apparentemente introversa.

A causa del suo comportamento nessuno sapeva, e nemmeno sarebbe arrivato a sospettare, che sotto quella apparenza di uomo fragile e tranquillo si nascondesse un  grande maestro di Karate.

Un giorno fece partecipe Gogen del suo grande segreto, facendogli una dimostrazione pratica delle sue conoscenze.

Dopo quella dimostrazione, Gogen lo pregò di insegnargli quegli strani movimenti, però il Maestro rifiutò, argomentando che non era ancora preparato per ricevere i suoi insegnamenti (a quell‘epoca il Karate era una disciplina segreta nell’isola e normalmente non si insegnava a chiunque, ogni famiglia aveva il suo stile che, per regola generale, veniva trasmesso solo dai padri ai figli).

Gogen però era un giovane che spiccava per la sua ostinazione e dopo aver superato una dura prova che il Maestro Maruta gli fece fare solamente allora lo considerò degno di insegnargli la sua arte.

il Karate divenne tutta la sua esistenza

In pochi mesi il Karate cambiò la vita del giovane adolescente, a tal punto che divenne tutta la sua esistenza.

Durante il giorno praticava il Kendo nella scuola Jigen, famosa per l’estrema durezza dei suoi allenamenti, la notte si allenava al Karate nella sua casa.

Tale era la sua passione per questa disciplina che più di un giorno allungava i suoi allenamenti fino all’alba.

Nel suo allenamento era inevitabile che causasse rumore, così che presto risvegliò la curiosità della sua famiglia e dei vicini, i quali vedevano sorpresi come quel ragazzo passasse ore a colpire uno strano aggeggio, simile ad un Makiwara, che però ruotava.

Doveva avere molti riflessi pronti, a parte la potenza, per fermare o addirittura bloccare l’altra estremità, Gogen passava ore colpendolo.

Scoprì il piacere di superare se stessi

Presto scoprì quello che significava allenarsi fino a svenire esausti con tutto il corpo dolorante, però scoprì anche il piacere di superare se stessi e di superare tutte queste prove.

Alcuni dei suoi vicini, inclusa la sua stessa famiglia iniziarono a preoccuparsi dello stato mentale di questo giovane che passava il giorno colpendo i muri, gli alberi ecc… fino a finire con le nocche lacerate e ricoperte di sangue, inoltre fu sorpreso in diverse occasioni a realizzare movimenti strani.

Quando questo succedeva, Gogen cercava di dissimulare, facendo qualsiasi altra cosa, per cui tutti iniziarono a temere il peggio.

Suo padre, preoccupato per le sue eccentricità, decise di parlare con lui, al giovane non rimase altro rimedio che confessargli il suo grande segreto.

Durante la sua adolescenza, la sua famiglia lo mandò a studiare alla Università di Kansai

Però gli studi non erano qualcosa che catturava la sua attenzione.

Continuò ad allenarsi con la stessa intensità di sempre, per cui mancava alla maggior parte delle lezioni, per questo motivo fu espulso dal centro.

Suo padre per questo lo rimproverò in maniera dura, Gogen gli promise di cambiare la propria condotta, pregandolo di iscriverlo all’Università di Rytsumeikan per studiare diritto.

Anche se ad essere sinceri, il suo unico interesse ad essere ammesso a quell’Università era il fatto che era famosa in tutto il Giappone per il suo Dojo di Arti Marziali, nel quale era incluso il Karate (bisogna considerare che in quel periodo era praticamente sconosciuto ed inoltre non era considerato come un’arte autoctona giapponese, visto che tutti sapevano che le sue tecniche provenivano dal Kempo cinese, più conosciuto da alcuni come Kung Fu).

Nel 1931 si trasferì a Tokio, per mantenersi in forma entrò in un club di Sumo, dove scoprì che lo spirito e l’Arte in sé non erano compatibili con il Karate, il quel periodo tutto il paese si preparava per la guerra, il partito ultra-nazionalista già controllava il Governo da 11 anni, era l’esercito che dettava le leggi e le decisioni del paese.

Si propagò dal potere una propaganda aggressiva che esaltava la lealtà, il patriottismo e il codice del Bushido (codice del guerriero), il Giappone entrò in guerra con i suoi vicini asiatici, prima di dichiarare guerra agli Stati Uniti.

Note


[AUTODIFESA] Sopravvivere al coltello: I diversi tipi di aggressione

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Dopo il nostro articolo precedente, entriamo finalmente nello specifico della questione


Sai cosa può fare realmente questo banalissimo coltello destinato ad usi alimentare?

Esattamente quello che stai pensando, recidere tendini, vene, arterie, muscoli, parete addominale, carotide, oppure perforare il busto o la schiena nella quasi totalità dei casi arrivando a ledere organi vitali.

Sei mai stato colpito da un oggetto tagliente, appuntito o hai subito una ferita da punta, un taglio? Sai cos’è un pneumotorace, una ferita asciutta, quanto sangue esce da una vena recisa? Sai che un uomo senza il minimo addestramento, senza l’ombra della minima attività fisica, senza nessuna conoscenza specifica, può impugnare un coltello e colpire in un corpo a corpo fino a 10 volte in cinque secondi?

Sai quanto ci impiega un aggressore armato di coltello a chiudere una distanza di 2,4,6 metri? Conosci lo stato d’animo nel quale ti troveresti se di fronte a te chi ti minaccia brandisse veramente questo comune coltello da cucina? Sai come ti attaccherebbe, con quale forza può arrivare a colpire,con quanta energia stringerebbe l’arma?

Sai che resistenza è in grado di opporre l’aggressore una volta che hai (eventualmente) preso il suo braccio armato? Riusciresti a fare quello che fai quando ti alleni in palestra con qualcuno fermamente intenzionato a tagliarti o a bucarti con un coltello?


La figura alla quale faccio riferimento non è quella di un esperto

Mentre rispondi alle domande, ricordiamoci che la figura alla quale faccio riferimento non è quella di un esperto.

Stiamo parlando di una qualsiasi persona che in preda ad un raptus violento impugna l’arma in questione (un coltello da cucina diventa arma nel momento in cui è brandito per arrecare danno fisico), con la ferma intenzione di provocare lesioni nei confronti di chi si trova davanti.

Purtroppo oltre ad una fisiologica delinquenza nostrana negli ultimi anni si è costituita una nuova struttura criminale, con connotazioni extracomunitarie (cioè composta da persone che giungono da fuori i confini europei).

Essa ha nella clandestinità, nel totale disinteresse delle leggi italiane e anche nella determinazione ad affermarsi in modo violento i propri fondamenti. Fattori che la pongono al centro di quella che è definita microcriminalità, ma che di micro per chi la subisce ha ben poco.

Non mi compete l’analisi dei fattori contingenti, ne intendo giudicare o esprimere opinioni al riguardo

Questo dato di fatto mi interessa per gli aspetti legati al porto ed utilizzo di armi bianche che sembra essere predominante nella realtà di oggi.

In questa società si è affermato per motivi diversi il coltello per varie ragioni che posso identificare nel costo minore rispetto altre armi e la facilità con cui ci si può approvvigionare di queste armi, ma anche facilità di occultabilità, di disfacimento, praticità d’uso e da non sottovalutare in caso di fermi per controlli, minore o quasi nullo indice di punibilità rispetto alle armi da fuoco.

Per quanto riguarda le figure di potenziali aggressori sono raccontate nei brevi racconti iniziali due sole di queste storie vedono coinvolti per motivi ben diversi esperti di combattimento, negli altri casi si tratta di delinquenti che definisco portatori di coltello, individui che portano l’arma e la utilizzano contro persone disarmate per vari scopi (aggressione,violenza, rapina ecc..)

Oggi è il portatore di coltello che fa la triste storia odierna, storia misera naturalmente di chi senza arte nè parte, si serve dell’arma per colpire persone inermi.

Magari anche alle spalle; il portatore di coltello è l’ultimo stadio al quale si pensa di poter opporre una difesa vitale nell’eventualità di un pericolo.

Egli ha l’arma con se quindi la conosce e premedita, sebbene non sia un combattente di coltello o un esperto, è determinato nell’utilizzarla e ne conosce le applicazioni pratiche.

Vediamo ora questa scaletta di possibili aggressori armati:

Il Rafforzatore

Il rafforzatore prende dall’ambiente (strada, macchina,bar, ecc…) qualunque strumento passi ai suoi occhi come potenziamento della sua azione offensiva.

Cacciaviti, martelli, coltelli da cucina, sono ai suoi occhi armi con le quali colpire spesso in maniera disordinata e ripetitiva la vittima.

I colpi possono essere diretti all’addome, schiena alta, torace e finiscono spesso quando portati con presa sopramano sugli avambracci della vittima che si protegge per ripararsi istintivamente dagli attacchi.

Il Raccattatore

Il raccattatore è colui che in preda ad un raptus si serve di oggetti del luogo trasformandoli in armi.

Pur alterato emotivamente seleziona in maniera analitica/istintiva armi occasionali (bicchieri e bottiglie frammentati, coltelli da banco, cacciaviti, punteruoli ecc…) che gli consentano azioni offensive incisive, colpisce di taglio e di punta sia con presa sottomano che sopra mano e i bersagli sono quelli del rafforzatore.

Il Portatore

Il portatore porta l’arma con sé, la tiene nascosta.

Che sia nei pantaloni, semplicemente in tasca o nella giacca, nel marsupio, infilata nei calzini e se con clip la aggancia spesso anche agli slip o alla cintura sul davanti o di dietro.

Ci sono stati casi di lame ricavate o innestate su fibbie di cintura o fibbie affilate, portachiavi affilati, chiavi di casa, di macchina affilate o appuntite

Nel caso di un coltello vero e proprio si tratta spesso di serramanico con lama dritta con apertura a scatto (molletta) o apribile a due mani, oppure ancora quei pericolosi apribili ad una sola mano sul modello spyderco, con lama diritta o semi-curva, spesso seghettata ed estremamente tagliente .

Il portatore, che ripeto non è un combattente di coltello, conosce comunque la sua arma e ne ha quindi una buona manualità, spesso è in grado di estrarla ed aprirla molto velocemente e non si fa scrupoli ad utilizzarla per colpire frontalmente di fianco o da dietro.

I colpi sono diretti al corpo, alle gambe e ai glutei  come azione di marcatura e in tal caso non sono dati per uccidere, oppure sono diretti di taglio al volto per segnare la vittima.

Anche in questo caso non sono colpi mortali, oppure diretti a zone specifiche come ad esempio il cosiddetto sorriso di “Allah” (bersaglio = gola, colpo di matrice araba) per uccidere come quelli ai naturali bersagli vitali compresi nel busto dalla gola all’addome.

Il portatore tuttavia può differire dalle due precedenti tipologie perché talvolta utilizza l’arma per minacciare e non sempre per colpire.

Mentre i primi due gruppi impugnano l’arma nel momento dell’ira (quando i freni inibitori per diverse ragioni vengono meno) e quindi spesso la utilizzano per colpire subito dopo, il portatore è consapevole dell’arma e la utilizza in contesti anche diversi (minaccia, intimidazione, avvertimento, colpi segnatori e per ultimo azioni letali) e con modalità diverse dai primi.

Ad esempio può estrarre l’arma e minacciare un attacco senza per questo arrivare a farlo, oppure estrarlo durante una colluttazione e colpire senza preavviso.

Queste considerazioni mi portano a valutare attentamente il contesto comparsa di un’arma, perché pur nel grande pericolo al quale ci sottopone quest’eventuale situazione, la stessa si presenta con caratteristiche diverse che vanno analizzate e studiate per conoscere i meccanismi.

Dobbiamo quindi essere in grado almeno da un primo punto di vista teorico/pratico di riconoscere non solo le armi, ma il contesto, le circostanze  e le possibili variabili, per sfuggire il pericolo dobbiamo captarne prima i possibili segnali ed essere pronti ad agire.

Note


Sopravvivere al coltello: Gli scenari di un aggressione

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Introduzione al tema

È meglio stare con i piedi per terra con questo argomento, e per stare con i piedi per terra parlando di coltelli e lame in genere, bisogna essere onesti; il che equivale essere crudi.

In questo articolo non troverai indicazioni sempre valide in ogni contesto. Non abbiamo bisogno di verità assolute ma di cose che possibilmente funzionino, e non possiamo neanche dire “ecco questo funziona sempre“.

Possiamo solo proporre e dire “ecco questo è quanto si può fare per tentare di salvarsi la pelle”.

Se si vuole, la tecnica si prova in palestra, adattato,riprovato e messo alla prova anche con amici ma tra le mura domestiche con persone amiche, stai molto attento e se ti risulta molto difficile applicare le tecniche di difesa o non riesci ad applicarle o anche se non si sente a pelle, è meglio passare ad altro.

Per quanto ne possano dire gli esperti, non esiste un programma al mondo sempre valido, esisti tu e la tua soggettività, in barba a tutte le scienze oggettiviste ed ai training ad alta intensità, quando sei davanti al pericolo, tu non sei una tecnica, sei solo tu e tu da solo con le gambe che tremano ed il cuore a cento all’ora, potresti provare una grande paura e sensazioni sgradevoli e potrebbero anche succedere delle cose che in palestra non succedono mai.

è tremendamente difficile proteggersi da un attacco portato con un’arma bianca

Quello che leggerai può farti scoprire che è tremendamente difficile proteggersi da un attacco portato con un’arma bianca, anche se se ne ha le capacità necessarie a respingere questo attacco e che non solo è possibile renderle più efficienti, ma anche che ci si può difendere acquisendo più energia durante gli allenamenti.

Parafrasando Seneca e ribaltando il suo famoso non vitae sed scholae discimus (non impariamo per la vita, ma per la scuola) possiamo dire Non scholae, sed vitae discimus (impariamo non per la scuola ma per la vita)

Così quando impariamo utilizziamolo non per lezioni tra esperti da palestra ma per preservare veramente la nostra vita, in questo campo dove la vita è in gioco, è necessario superare gli ostacoli o i limiti posti da vuote esercitazioni di estetica marziale che si atteggiano in aggressive ed inutili dimostrazioni di forza suprema.

A questo punto una considerazione è doverosa, ritornando alle verità, se nella difesa personale supponiamo che non ne esistono di verità assolute, tanto meno quelle di seguito espresse possono essere considerate tali, tuttavia quanto leggerai, rappresenta uno sforzo legato alla comunicazione non promozionale, ed è quindi inteso come un tentativo concreto di fornire indicazioni per quanto possibile precise ed utili, senza nascondere nulla che possa servire veramente a tutelare il valore insostituibile di una vita umana.


Di seguito elencheremo una serie di scenari utili ad inquadrare una tipica situazione di aggressione con arma bianca

PRIMO SCENARIO: RISSA IN UN BAR

Un gruppo di avventori bevevano tranquillamente in un bar. Tutto era tranquillo, ma improvvisamente fra due di questi avventori, sino ad un attimo prima tranquilli, scoppia una lite.

Il più minuto dei due, forse anche il più alterato, si lancia verso l’altro colpendolo con un pugno diritto. Non c’è tempo di dividerli che i due rotolano furiosamente avvinghiati a terra, ed il più grosso prende facilmente il sopravvento: seduto sopra l’altro lo tempesta di colpi.

Il più piccolo tuttavia non si arrende: sbraccia, scalcia e tenta disperatamente di divincolarsi e fuggire. Fortunatamente non passa molto che altri clienti superato lo stupore iniziale, si precipitano sui contendenti e riescono a dividerli, e solo allora nel rialzarsi il più grosso nota la macchia scura sul suo fianco destro e fatti pochi passi si accascia. Colpito da un coltello che non ha sentito e non ha visto, sopravviverà dopo il ricovero in ospedale e diversi giorni di cure .

SECONDO SCENARIO: TENTATIVO DI RAPINA

Tre malfattori hanno costretto spalle al muro un malcapitato minacciandolo con dei coltelli, esibiti con l’intento di ottenere il bottino desiderato, un portafoglio ben fornito di denari che è stato notato durante gli acquisti fatti poco prima in un negozio.

Il più deciso dei tre, forse il capo, si fa avanti ed allunga il braccio armato di un coltello con la lama leggermente curva verso il viso della vittima per fargli consegnare il portafoglio.

Improvvisamente però l’aggressore, come scottato dal fuoco, ritrae il braccio e con un salto all’indietro si allontana da quello che fino ad un attimo prima era la vittima predestinata.

Il malcapitato infatti ora invece del portafoglio ha nella mano destra un lucente coltello aperto, con il quale ha già colpito all’altezza del polso l’incredulo malvivente, recidendo di netto i flessori della mano.

Non lascia il tempo agli alti di superare lo sbandamento della sorpresa, con due passi rapidi si porta verso l’uomo alla sua sinistra e con un movimento in laterale discendente lo ferisce con un taglio secco e penetrante dietro al ginocchio, facendolo stramazzare al suolo. Quando si volta per fronteggiare l’attacco del terzo aggressore non trova però nessuno, è fuggito a gambe levate nello stesso momento in cui il secondo cadeva colpito.

TERZO SCENARIO: AGGRESSIONE IN DISCOTECA

Un giovane chiacchiera con una coetanea in discoteca circondato da altre persone che attorno a loro ballano e si divertono.

Improvvisamente tra la folla si fa largo un tizio che gli si avvicina con fare esuberante, ma tutto sommato tranquillo. Giunto a due passi dal ragazzo però cambia atteggiamento indicandolo con una mano e apostrofandolo pesantemente come un possibile rivale in amore, con l’altra estrae un coltello e colpisce il ragazzo alla gamba ed alla natica, fuggendo subito dopo tra la calca della folla.

Il ragazzo colto di sorpresa e completamente bloccato dal panico viene trasportato al pronto soccorso dagli amici. Le ferite fortunatamente non hanno prodotto un danno permanente e il ragazzo serberà due piccole cicatrici  e un brutto ricordo della vicenda occorsagli.

QUARTO SCENARIO: UBRIACO VIOLENTO

La birreria paninoteca il venerdì sera è luogo d’incontro per mangiare qualcosa, bersi una birra e ascoltare musica chiacchierando con amici.

Un tizio entra spavaldo quando il locale è già affollato, si appoggia al bancone e chiede da bere. Dopo aver trangugiato una media ne chiede subito un’altra, al rifiuto del barman che intuisce lo stato alcolico del nervoso cliente, inizia ad inveire ed urlare, poi come un lampo spazza con un braccio i bicchieri dal bancone, afferra l’ultimo rimasto, un calice da birra e con un movimento secco ne rompe il bordo sullo spigolo, lanciandosi subito dopo all’inseguimento del barista.

Questi con prontezza d’animo si chiude nel retrobottega sprangando la porta, l’energumeno allora ormai completamente partito prende il primo ragazzo che gli capita a tiro e gli pianta il bicchiere rotto alla base del collo, minacciando di sgozzarlo.

Seguono attimi di terrore, interrotti dall’arrivo dei Carabinieri, alla vista dei quali il delinquente si libera del ragazzo, ma continua a minacciare i militari con il bicchiere rotto in mano, solo dopo una trattativa ben condotta, i due carabinieri riescono a condurlo via  senza colpo ferire, il ragazzo se la cava con un grosso spavento e qualche graffio.


Conclusioni

Questi sono alcuni casi. A volte si sente dire “non ho sentito il dolore solo colpi e qualcosa che entrava nella gamba, qualche attimo dopo con i pantaloni inzuppati di sangue stavo barcollando alla ricerca di aiuto”, spesso si sentono queste testimonianze a conferma che il coltello è facile da nascondere ed essere usato da chiunque.

Una lama non è fredda solo al tatto, è fredda anche quando te la vedi davanti e capisci che può colpirti e penetrare dentro di te

Si fa un gran parlare di lame curve, dritte, corte, seghettate, a doppio filo, a un filo e mezzo, di coltelli a lama fissa, a scatto, clip ad apertura singola, di daghe e pugnali combat, ma tra persone normali, quelle per intenderci che hanno una vita divisa tra casa, lavoro, amici, famiglia, interessi e la palestra, ci si può fermare molto prima, diciamo al coltello da cucina anche piccolo.

A questo gruppo appartiene il 95% della popolazione, escludiamo il rimanente 4 % (forze dell’ordine nei vari contesti operativi) e lo 1% di coloro (e supponiamo sia già una percentuale ampiamente in eccesso) che un coltello in combattimento lo sanno maneggiare davvero, per combattimento intendiamo non una coltellata alla schiena, ma un ipotetico duello alla pari tra due armati svolto secondo delle regole prestabilite.

Nel prossimo articolo entreremo nello specifico della questione.

Note


Le tecniche della Muay Boran: dalla tradizione ai giorni nostri

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Ai giorni nostri la Muay Thai tradizionale si è sviluppata fino a diventare un popolare sport da ring, diffuso in tutto il mondo. Nonostante il nome quest’ultimo differisce molto dalla Muay Boran; che andremo oggi proprio ad analizzare.

Questo grande sviluppo ha fatto si che si creasse confusione tra il Muay ancestrale e lo sport della Thai,non tutti ricordano che la Box Thailandese, professionale o dilettantistica, deriva dalla applicazione di regole e limiti tecnici imposti alle forme di combattimento studiate in passato in Thailandia come Arti di guerra.

Un chiaro esempio delle azioni pericolose bandite dal contesto sportivo sono tutte le tecniche in stile marziale impiegate nella Muay Boran, come ad esempio i calci nelle parti basse, i pugni a martello, i pugni con le nocche e il dorso della mano, le pressioni sulle parti molli (occhi- gola-genitali), i colpi di gomito alle vertebre o alla nuca, gli attacchi frustati a mano aperta, i colpi di palmo, le testate, molte prese di lotta come quelle alle gambe, numerosi tipi di proiezioni, le leve agli arti, al collo e gli attacchi alla spina dorsale, i soffocamenti ecc …

In un remoto passato, i Maestri di Muay dell’antico Regno del Siam misero a punto un sistema di lotta adattato alle diverse esigenze locali

Nel combattimento sportivo pur estremamente duro e impietoso, per fini di salvaguardia dei contendenti, “solo” i colpi di pugno portati con il guantone da pugilato, i calci, le gomitate e le ginocchiate ed un numero limitato di prese e proiezioni sono attualmente ammesse come azioni offensive, ritenendo molte tecniche praticate nella Muay tradizionale troppo pericolose e potenzialmente letali.

In un remoto passato, i Maestri di Muay dell’antico Regno del Siam, pur se sparsi in regioni del Regno lontane tra loro, grazie alle occasioni di incontro pubbliche, misero a punto un sistema di lotta basato sui principi comuni, adattato alle diverse esigenze locali con il risultato di ottenere uno stile di combattimento molto variegato e sofisticato.

Gli stessi nomi dati alle tecniche di combattimento potevano differire perché assegnati ad un dato movimento da Maestri provenienti da diverse regioni, ma in realtà si riferivano a principi ed azioni analoghe

I pilastri su cui si fondava ogni corrente stilistica e conseguentemente l’intero “corpus” della disciplina erano e sono tuttora rappresentati dalle forme base dette Mae Mai Muay e le forme accessorie dette Look Mai Muay.

Tutto il bagaglio fondamentale di principi, strategie, tattiche ed azioni offensive e difensive del Muay è contenuto nelle forme suddette codificate nel corso dei secoli nel numero standard di 15 Mae Mai e 15 Look Mai, le forme base ed accessorie vengono sempre studiate con un gran numero di varianti estremamente importanti, portando il numero totale a 108 tecniche.

Oltre alle fondamenta  del sistema, ogni Maestro del passato remoto più recente ha nel tempo affinato, testato ed in seguito codificato un numero variabile di tecniche indispensabili per apprendere l’uso delle armi naturale del corpo, dette Chern Muayed

Un numero in continua evoluzione di difesa e contrattacco avanzate, dette Kol May Muaythai, il livello più alto da raggiungere per ogni praticante di Muay Boran è rappresentato dallo studio e dall’applicazione delle Kon Mai Muay, attraverso le quali è possibile raggiungere le radici di ogni corrente stilistica, sia sotto l’aspetto teorico che sotto quello dell’aspetto pratico.

I colpi particolari portati con varie parti della mano, chiusa o aperta, gli attacchi portati con le anche,le spalle, gli avambracci ,così come le torsioni o le rotture  articolari o i colpi multipli (due o tre attacchi contemporanei) eseguiti direttamente o con salti, sono solo una parte dell’enorme bagaglio tecnico offerto dalle Kon Mai, anni di studio e di pratica appassionata sono necessari per tali movimenti complessi parte integrante degli automatismi del vero combattente di Muay.

Oltre alle difficoltà intrinseche di tali tecniche avanzate, come le forme base ed accessorie, anche per le Kon Mai la nomenclatura può rappresentare in prima battuta un notevole ostacolo all’apprendimento, i nomi complessi utilizzati traggono origine dal poema epico Ramakien (versione Thai del Ramayana indiano) o in altri casi dalle azioni tipiche degli animali reali o mitologici, o semplicemente da atti di tutti i giorni, facili da ricordare.

Certamente non per un thailandese, ma per un appassionato straniero la confusione creata da tali nomi non è da sottovalutare

Inoltre, come avviene per le Mae Mai, anche nel caso delle Kon Mai ad uno stesso nome non necessariamente corrisponde la stessa tecnica, nella interpretazione di due diverse scuole , un esempio per tutte è la Kon Mai detta Narai Ban Sian che, per alcuni Maestri rappresenta un colpo di pugno alla tempia, mentre per altri indica un calcio circolare al collo.

E come detto questo non è un caso unico, da tutto ciò, quindi, deriva la necessità imprescindibile di studiare queste tecniche avanzate sotto la continua guida di un Kru Muay esperto, con il rischio in caso contrario di essere indotti continuamente in errore acquisendo difetti gravi difficili da correggere.

Ai fini di una reale completezza l’lMBA ha da sempre voluto inserire nei propri programmi tutte le impostazioni stilistiche provenienti dalle varie regioni del Siam, al fine di fornire ai praticanti di Muay Boran un panorama completo delle possibilità tecniche offerte dal Muay tradizionale, e le tecniche Kon Mai Muay non fanno eccezione a questa regola.

Come si usa dire in Thailandia, il combattimento interpretato nel Muay è come una cascata di gocce d’acqua che cade sulle foglie di loto, le gocce d’acqua seguiranno il contorno delle foglie in maniera armonica e fluida, giungendo inesorabilmente al loro obiettivo da tutte le direzioni.

È questo che deve fare il combattente di Muay, adottando tutti i micidiali mezzi tecnici di cui dispone per aggredire e sconfiggere l’avversario.

Note


[STORIA BUGIARDA] L’Apocalisse, le corna di Satana ed Eva

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Continua la rubrica di Paolo Algisi dedicata ai luoghi comuni della storia più duri a morire.

In questo capitolo tratteremo due fatti riguardanti Eva, uno dei protagonisti biblici della Creazione. Parleremo di Papa Pietro I, di Satana e dell’Apocalisse

EVA OFFRÌ AD ADAMO UNA MELA



Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò

(Genesi, 3:6)

La Bibbia racconta che Adamo ed Eva mangiarono il frutto dell’albero della conoscenza del Bene e del Male contravvenendo alla proibizione di Dio.

Per questa ragione i due furono scacciati dall’Eden, perdendo i privilegi di cui godevano al momento della creazione.

La decisione di mordere questo frutto fu dunque il “peccato originale“ in conseguenza del quale Dio condannò per sempre l’uomo a un’esistenza difficile degradata dal punto di vista morale, fisico e spirituale.

Nel testo però non è specificato di quale frutto si trattasse

Molti commentatori hanno ritenuto che fosse un fico.

Questo anche perché, poche righe più avanti, la Bibbia riferisce che appena Adamo ed Eva “si accorsero di essere nudi, intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture“ (Genesi, 3:7).

Altri hanno ipotizzato che si trattasse di un grappolo d’uva, di un cedro o di un melograno.

L’identificazione dell’albero con un melo avvenne solo durante il Medioevo

Forse per via di un’assonanza presente nella lingua latina, in cui “malum“ è sia il male sia la mela, l’albero della conoscenza del male può essere diventato, per un errore di traduzione, un melo.

Una svista, o un’interpretazione, che poi ebbe molta fortuna, che coinvolse anche altre espressioni linguistiche: il “pomo d’Adamo“, ovvero la sporgenza della cartilagine nel collo frequente negli uomini dopo la pubertà, è detto così con riferimento al peccato reso possibile dalla maturità sessuale.

La scelta della mela fu aiutata dalla tradizione

La simbologia della mela è presente in molte altre culture.

Nei miti greci, dove una mela è il frutto che Paride dà in premio ad Afrodite designandola la più bella tra le Dee dell’Olimpo, ma anche nell’iconografia medioevale, dove accanto al melograno è simbolo di fertilità.

Dalla tradizione biblica la mela passò a sua volta fuori dall’ambito sacro

Fu una mela posta sulla testa del figlio quella che Guglielmo Tell, leggendario eroe svizzero, dovette colpire con una freccia, ed è con una mela che la strega cattiva avvelena Biancaneve nella favola dei fratelli Grimm.

Una continuità che arriva fino alla mela come simbolo di New York, ma anche della casa discografica fondata dai Beatles e dell’azienda informatica Apple: una mela morsicata, secondo alcuni simboli di conoscenza.

LA PRIMA DONNA FU EVA



Per i credenti la prima donna dell’umanità fu Eva.

Tuttavia nei versetti della Bibbia in cui si descrive la creazione dell’uomo (Genesi, 1: 27) si legge che “maschio e femmina li creò“ ma non si dice quale fu il nome della donna.

Che la moglie di Adamo si chiamasse Eva è detto più avanti (Genesi, 3: 20 e Genesi, 4: 1) e da questa lacuna nacque una tradizione ebraica secondo la quale prima di Eva ci fu un’altra donna: Lilith.

Nella Bibbia Lilith, ispirata forse ad una divinità mesopotamica, è citata una sola volta (nel libro di Isaia definita “civetta” Lilith in ebraico), ma la sua storia è raccontata in un testo cabalistico del Vlll-Xl secolo d. C.

Qui si narra che, dopo la creazione insieme ad Adamo, Lilith si rifiutò di sottomettersi al maschio e pronunciò il nome di Dio

Fu cacciata dall’Eden e fu costretta ad una vita errabonda.

Trasformandosi in demone, solo allora da una costola di Adamo (genesi 2 : 2) Dio creò Eva, devota e fedele.

Per alcuni la figura di Lilith rappresenta il passaggio dalle culture matriarcali a quelle patriarcali, simboleggiato dalla sua cacciata dall’Eden.

PIETRO FU IL PRIMO PAPA



Per diversi secoli dopo la morte di Gesù non ci fu un unico luogo che fungesse da “centro direttivo” della cristianità.

Altrettanto importanti del vescovo di Roma erano ad esempio, quelli di Alessandria, Antiochia e Gerusalemme.

Fu Leone l detto “Leone Magno” il primo a sostenere che il vescovo di Roma fosse superiore agli altri vescovi

Egli stilò inoltre la prima lista di pontefici che partiva appunto da Pietro, vissuto a Roma all’epoca di Nerone e crocifisso tra il 64 e il 68 d.C.

Niente lascia però supporre che Pietro avesse assunto la guida della prima comunità cristiana della città, già presente prima del suo arrivo.

Inoltre mai nei suoi scritti l’apostolo rivendicò un potere speciale sulla chiesa, né sostenne che la propria autorità sarebbe stata trasmessa ai successori.

SATANA HA LE CORNA



Il Satana biblico è un angelo che si contrappone a Dio, ma le corna sono un’attribuzione medioevale.

Quando per rappresentare il diavolo ci si ispirò a Pan, dio pagano della fertilità. Con zampe e corna caprine.



APOCALISSE VUOL DIRE CATASTROFE

Il greco “apokalygipsis” significa “rivelazione” e non catastrofe.

Il termine si diffuse intorno al ll secolo d.C. ed era originariamente riferito a un particolare genere letterario tipico degli scrittori giudaico-cristiani.

In quei libri si descrivevano visioni mistiche che rivelavano i segreti della fine del mondo.

Le immagini simbolo della fine dei tempi erano mostri, draghi, angeli che annunciavano il giudizio universale.

L’esempio più celebre è l’Apocalisse attribuita all’apostolo Giovanni

Chiamata così dai primi Padri della chiesa, da lì vengono le catastrofiche immagini di fiamme e distruzione che oggi definiamo appunto apoca

Note


[STORIA BUGIARDA] La Terra Piatta, la lampadina e l’Indipendenza americana

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LA RIVOLUZIONE FRANCESE SCOPPIÒ CON LA PRESA DELLA BASTIGLIA



Per gli storici la Rivoluzione francese, che considerano come una lunga sequenza di avvenimenti durata quasi 10 anni, iniziò con la convocazione degli stati generali il 5 maggio 1789.

Fu allora che il terzo stato (la borghesia) si pose alla testa della rivolta contro il sistema feudale (l’Anciem règime), quanto all’insurrezione violenta di luglio, non cominciò con l’assalto alla Bastiglia.

L’assalto alla Bastiglia del 14 luglio 1789 fu solo uno dei tanti episodi di una rivolta che in Francia era già dilagante (soprattutto a causa della carestia e delle tasse), la capitale stessa da un paio di giorni era preda delle sommosse.

Dal 12 luglio si era insediato un comitato permanente rivoluzionario che si contrapponeva al governatore reale, l’attacco alla fortezza-prigione della Bastiglia, poi, ebbe all’inizio uno scopo pratico: impossessarsi delle polveri e delle armi della guarnigione.

Fu condotto a partire dal mattino da circa 900 rivoltosi, mentre nella città erano già state alzate le barricate.

Dopo il fallimento di una trattativa con il comandante della guarnigione di 114 uomini, Bernard-Renè de Launay, scoppiò una breve battaglia.

Verso le 5 del pomeriggio gli assedianti entrarono dal ponte levatoio, liberando i sette detenuti, la fortezza (eretta nel 1832, ma mai strategica) era stata trasformata in prigione dal cardinale Richelieu nel seicento.

Avendo avuto tra i suoi (mai numerosi) ospiti anche personaggi come l’ illuminista Voltaire, la propaganda rivoluzionaria fece di quell’assalto l’evento scatenante della rivolta e il 14 luglio divenne festa nazionale francese.


L’INDIPENDENZA AMERICANA FU FIRMATA IL 4 LUGLIO 1776



E’ un’errore, l’Independence day, la festa nazionale degli Stati Uniti che commemora l’adozione della Dichiarazione d’Indipendenza delle 13 colonie dalla Gran Bretagna celebra il 4 luglio 1776, ma andrebbe spostato al 2 agosto.

Fu questo infatti il giorno in cui la maggior parte dei delegati delle colonie sottoscrisse lo storico documento, reso pubblico il 4 luglio.

In verità fu accertato però solamente nel 1884, quando lo storico Mellon Chamberlain consultò i verbali manoscritti conservati negli archivi del Congresso, ma ormai la festa era entrata nella tradizione americana e si preferì non modificare quella data.

LE SABINE FURONO RAPITE DAI ROMANI



Al tempo della fondazione di Roma (Vlll secolo a.C.) Romani e Sabini vivevano fianco a fianco, i primi sul colle del Palatino, i secondi su quelli del Campidoglio e del Quirinale.

Originari di Alba Longa (Lazio), i romani erano arrivati lì senza mogli e per assicurarsi una discendenza rapirono le donne dei sabini (attirati con l’inganno di una grande festa).

Questo almeno dice la leggenda di quello che tutti chiamano “il ratto delle sabine”, leggenda appunto,che i romani e i sabini si siano mischiati è vero, come prova l’origine sabina di alcune parole latine come “bos” bue, scrofa, popina, (osteria).

Che abbiano fatto ricorso a un rapimento invece no, i due popoli si fusero pacificamente, tanto che il co-reggente di Romolo fu, per cinque anni, il sabino Tito Tazio.

A LITTLE BIGHORN I SOLDATI DI CUSTER MORIRONO TUTTI



L’epica sconfitta del 25 giugno 1876 subita dal 7° Cavalleggeri del tenente colonnello George Custer spazzò via l’intero reggimento.

Così narra il mito della battaglia svoltasi nei pressi del fiume Little Bighorn (Montana) contro una coalizione indiana agli ordini di Cavallo Pazzo e Toro Seduto, la verità è che non tutti morirono in quella battaglia,del gruppo di Custer sopravvisse il trombettiere-portaordini di origini italiane John Martini, che aveva lasciato la colonna del colonnello e gli squadroni agli ordini di Marcus Reno e Frederick Benteen in gran parte la scamparono.

Il reggimento contava 31 ufficiali, 586 soldati, 33 scout indiani e 20 civili: morirono 268 uomini.

EDISON INVENTÒ LA LAMPADINA



Alla lampadina ad incandescenza si solito si associa il nome dell’inventore americano Thomas Alva Edison (1847-1931).

Il piemontese Alessandro Cruto il 5 marzo 1880 accese la sua prima lampadina

Ma c’è un altro papà, oggi dimenticato, il piemontese Alessandro Cruto (1847-1908). Il 5 marzo 1880, nel laboratorio di fisica dell’Università di Torino, Cruto accese la sua prima lampadina grazie alla messa a punto di un filamento di sua invenzione e ignoto ad Edison.

La lampadina risultò molto più efficiente di quella realizzata appena 5 mesi prima da Edison (500 ore di durata contro le 40 del collega americano)

Chi è Alessandro Cruto?

Nato nel Piossasco, non lontano da Torino, Cruto fu avviato agli studi tecnico-industriali e fin da giovane iniziò a cimentarsi come inventore.

Nel suo laboratorio mise a punto tra l’altro un sistema di graduazione per i termometri. Nel 1879 si convertì agli studi sull’elettricità, allora pionieristici.

Nello stesso anno Cruto aveva assistito a Torino alla presentazione dei prototipi di Edison, che il fisico e ingegnere Galileo Ferraris aveva introdotto come una mera curiosità, dati i loro limiti funzionali.

Il problema era il filamento, che diventando incandescente per il passaggio della corrente elettrica si consumava troppo in fretta.

Cruto trovò pochi mesi dopo la soluzione, usò all’interno del bulbo di vetro filamenti di carbonio purissimo, ottenendo non solo una maggior durata,ma anche una luce più chiara.

Altri Italiani lavorarono alla lampadina

Alti Italiani lavorarono alla lampadina (oltre a numerosi stranieri) come Ferdinando Brusotti (1839-1899), che nel 1877 aveva brevettato una lampadina elettrica ad incandescenza ed Arturo Malignani che aumentò la durata fino a 800 ore.

VESPASIANO INVENTÒ I GABINETTI PUBBLICI



Le toilette pubbliche sono chiaramente vespasiani solo dall’Ottocento, in ricordo dell’imperatore romano che regnò dal 69 al 79 d.C.e al quale si attribuisce una tassa sull’urina, che veniva raccolta in vasi di terracotta lungo le vie.

All’epoca i fullones (tintori e lavandai) riciclavano le urine, da cui ricavavano l’ammoniaca per le loro lavorazioni, senza pagare nulla.

Criticato dal figlio Tito per quella trovata fiscale, l’imperatore avrebbe commentato “pecunia non olet” (il denaro non puzza).

LEONARDO È IL PADRE DELLA BICICLETTA



Questa diffusa credenza deriva dal fatto che su una pagina del Codice Atlantico compare il disegno di una bicicletta con tanto di pedali e catena.

In realtà la maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che il disegno non appartiene alla mano del Maestro, né a quella di un suo allievo (si disse per esempio che potesse essere opera di Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì).

L’ipotesi più probabile è che sia stato aggiunto nell’800 o anche più tardi, quando la bicicletta era appena stata inventata

Il codice Atlantico, in effetti, nacque nel tardo 500 da un assemblaggio arbitrario da parte dello scultore Pompeo Leoni che aveva acquistato i codici originari da Francesco Melzi (allievo di Leonardo) e che li aveva riorganizzati, altri rimaneggiamenti si ebbero nei secoli successivi.

IL PRIMO A FARE IL GIRO DEL MONDO FU MAGELLANO



Il portoghese Ferdinando Magellano partì nel 1519 da Siviglia al comando di cinque velieri, con l’obiettivo di raggiungere le Molucche, nell’arcipelago indonesiano, allora note come le isole delle spezie.

Decise però che ci sarebbe arrivato navigando verso ovest invece che verso est circumnavigando l’Africa, come si usava allora.

Una volta superata la punta meridionale dell’America del Sud attraverso lo stretto che oggi porta il suo nome, riuscì a raggiungere le Filippine. Dimostrando la praticabilità della nuova rotta qui, il 27 aprile 1521, perse la vita durante uno scontro con gli indigeni.

Magellano dunque non completò la circumnavigazione del globo.

Fu il capitano basco Juan Sebastian Elcano

Fu il suo vice, il capitano basco Juan Sebastian Elcano, a prendere il comando della spedizione e a diventare il primo a compiere il giro del mondo, riportando in Spagna, nel 1522, i pochi sopravvissuti dell’equipaggio.

IL PRIMO A RAGGIUNGERE L’AMERICA FU COLOMBO



In realtà ci arrivò un vichingo, secoli prima, Leif Eriksson nel 992 sbarcò infatti in tre punti della costa canadese Helluland, Markland e Vinland (le attuali Baffin, Labrador e Terranova).

E prima di lui, nel 986, un altro vichingo, Bjarne Herjolfsson, aveva avvistato la costa americana, pur senza raggiungerla, negli anni 60 sono state trovate prove archeologiche di un insediamento vichingo databile al mille circa.

GALILEO INVENTÒ IL TELESCOPIO



Galileo Galilei (1564-1642) si limitò a perfezionarlo e fu il primo a puntarlo verso il cielo.

Fondando l’astronomia moderna, ma lo strumento fu inventato dal fabbricante di occhiali olandese Hans Lippershey, che nel 1608 chiese il brevetto per il “vetro prospettico olandese”.

FLEMING SCOPRÌ LA PENICILLINA



Nel 1928, osservando al microscopio una coltura contaminata da una muffa, Alexander Fleming (1881-1955) medico e biologo scozzese, si accorse che la crescita dei batteri si era fermata, ne dedusse che la muffa conteneva una sostanza antibatterica (la penicillina).

Già nel 1895 il medico napoletano Vincenzo Tiberio aveva notato gli effetti del fungo Penicillium

Questo gli valse il premio Nobel, ma già nel 1895 il medico napoletano Vincenzo Tiberio aveva notato gli effetti del fungo Penicillium sulle infezioni, pubblicando anche uno studio. Altrettanto ignorato fu il francese Ernest Duchesne, che si accorse del fenomeno nel 1897.

NEL MEDIOEVO SI CREDEVA CHE LA TERRA FOSSE PIATTA



La teoria della sfericità della Terra, avanzata da vari filosofi dell’antica Grecia, fu dimostrato intorno al 240 a.C. da Eratostene di Cirene, che calcolò con precisione il raggio terrestre.

Quella nozione arrivò intatta al mondo medioevale, come provano diversi trattati, e il falso mito che fino all’epoca dei grandi navigatori (XV secolo) si credesse alla Terra piatta si affermò solo nell’Ottocento.

Note


[STORIA BUGIARDA] I Magi, gli Apostoli e i “300” spartani

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LE GUERRE PUNICHE FURONO TRE



Sui libri di scuola si legge che fra Roma e Cartagine il duello per la supremazia nel Mediterraneo si esaurì in tre guerre, dette puniche dal latino Poeni, nome con cui i romani chiamarono i Cartaginesi. Solo che non furono tre ma quattro.

Dopo un primo scontro, avvenuto per il controllo della Sicilia (264-241 a.C.) ci fu infatti una quasi dimenticata guerra-lampo, che ebbe come teatro i mari tra Sardegna e Corsica.

Nel 241 a.C. Cartagine era padrona della Sardegna e Corsica

Ma si trovò a fronteggiare le rivolte dei suoi mercenari in Africa, fomentate dai Romani. Roma, approfittandone, nel 238 a.C. inviò alcune sue legioni ad invadere Sardegna e Corsica.

I Cartaginesi furono colti di sorpresa e cedettero quasi subito, perdendo il controllo delle isole, che nel 227 a.C. divennero province romane.

I riottosi isolani ottennero l’aiuto segreto di Cartagine, ma con la Seconda Guerra Punica (che quindi in realtà fu la terza) combattuta fra il 218 e il 202 a.C., fu sancito il controllo romano, che portò alla distruzione di Cartagine al termine dell’ultima (quarta e non terza) guerra del 149-146 a. C.

GLI EROI DELLE TERMOPILI ERANO 300



Secondo la tradizione, tra il 19 e il 21 agosto del 480 a.C. al passo delle Termopili (Grecia Orientale) 300 spartani fermarono (o, a onor del vero, rallentarono solamente) l’avanzata dei Persiani invasori.

In realtà i soldati greci inviati alle Termopili furono fra i 5 e i 7 mila

È vero che, stando alle fonti del tempo, gli uomini del re spartano Leonida (la cui guardia contava 304 uomini oltre al sovrano e ai comandanti) rimasero isolati dal resto delle truppe alleate.

Ma, sempre secondo le fonti antiche, con loro c’erano anche 700 guerrieri della città di Tespie e 400 di Tebe (già conquistata dai Persiani).

I COMANDAMENTI DI MOSÉ SONO 10



Nella Bibbia le Tavole della legge ricevute da Mosè sul monte Sinai non hanno numerazione e non sono affatto un “decalogo“ (espressione peraltro introdotta nei testi soltanto nel lll secolo d.C.)

Si tratta infatti di numerosi e vari precetti, di cui quelli che sono poi diventati i 10 comandamenti sono i primi.

Non solo, esistono discordanze tra ebraismo e cristianesimo: per gli ebrei, per esempio, il primo comandamento è “Io sono il Signore Dio tuo“ (per i cristiani è “Non avrai altro Dio all’infuori di me“) e il nono e il decimo sono accorpati (mentre i cristiani distinguono tra “Non desiderare la donna d’altri“ e “Non desiderare la roba d’altri“)

GLI APOSTOLI ERANO 12



In totale furono 20, oltre ai canonici 12, il più noto è San Paolo, il cui titolo apostolico è confermato da varie fonti cristiane, Paolo definisce a sua volta apostoli: Timoteo e Silvano, Apollo, Andronico e Giuia.

Negli Atti, poi Barnaba è chiamato apostolo e, dopo il tradimento di Giuda, all’inizio degli stessi Atti, Pietro propone di sostituire Giuda con Giuseppe oppure con Mattia, prevalse quest’ultimo, per sorteggio promosso ad apostolo.

GLI ANTICHI RE DI ROMA FURONO 7



In realtà ce ne fu un ottavo, Tito Tazio, nato a Cures (oggi Fara in Sabina, 37 km a sud di Rieti), regnò per cinque anni e probabilmente in co-reggenza con il primo dei sette (Romolo).

Eppure fu un personaggio tutt’altro che secondario

Si tramanda che fu lui a urbanizzare il Colle per eccellenza, cioè il Quirinale, già residenza dei papi e oggi del presidente della Repubblica, perché quindi nessuno lo ricorda?

Quasi certamente non compare nelle liste tradizionali perché ricevette la corona solo in seguito al cosiddetto “ratto delle Sabine“ Per questo avrebbe soltanto affiancato il fondatore dell’Urbe.

LE REPUBBLICHE MARINARE ERANO 4



La semplificazione storica è stata rafforzata persino dalla marina italiana, che nello stemma dal 1941 ha, al centro del tricolore, i simboli delle “4 Repubbliche marinare“ Venezia, Genova, Amalfi e Pisa.

L’ equivoco ebbe origine nella storiografia dell’Ottocento che, in pieno fervore risorgimentale,esaltò queste quattro città (effettivamente molto potenti) come esempi italiani di indipendenza. Per gli storici di oggi, invece, furono repubbliche marinare molti altri comuni e signorie cittadine dedite al commercio marittimo, rette da governi repubblicani o da oligarchie, spesso di banchieri.

Tra i requisiti:

  • Possedere una propria valuta;
  • Avere proprie leggi marittime;
  • Possedere una flotta commerciale;
  • Possedere fondaci (magazzini) e rappresentanti diplomatici all’estero (ed esteri in patria).

Corrispondono in tutto o in parte alla descrizione Ancona, in competizione con la Repubblica di Venezia per i traffici nell’Adriatico, e la laziale Gaeta, in corsa per il controllo del Tirreno.

Va indicata inoltre La pugliese Trani, dove nel 1063 furono redatti gli Ordinamenta maris, tra i più antichi codici marinari.

Anche la piccola Noli, in Liguria, Ragusa (oggi in Croazia, ma nel medioevo Italiana), Sorrento e Capua.

I MAGI ERANO RE ED ERANO TRE



L’episodio dei Magi che giunsero da Gesù appena nato richiamati da una stella è raccontato in uno solo dei Vangeli canonici, quello di Matteo. Tuttavia la tradizione differisce molto da quello che è effettivamente raccontato dall’evangelista.

Da nessuna parte, infatti, Matteo scrisse che si trattava di re

I Magi o Maghi erano probabilmente sacerdoti del profeta Zoroastro, che interpretavano i sogni e studiavano gli astri e Matteo non scrisse neppure quanti fossero.

L’evangelista dice genericamente che «alcuni Magi giunsero da Oriente» e fu solo nel Vl secolo che si stabilì che fossero tre.

Nei secoli successivi furono loro assegnati anche dei nomi, che nella tradizione occidentale sono Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Ma ad esempio per la Chiesa etiope si chiamano Hor, Basanater e Karsudan.

I COLLI ROMANI ERANO 7         



Palatino, Aventino, Celio, Campidoglio, Viminale e Quirinale

Sarebbero questi i nomi tradizionali dei colli all’interno delle mura serviane (fatte erigere da Servio Tullio nel Vl secolo a.C.) su cui sarebbe nata la potenza di Roma.

Ma rileggendo le fonti del tempo i conti cambiano, di sette colli, pur senza nominarli, parlano scrittori come Cicerone, Virgilio, Orazio, Marziale, Properzio e Stazio, ma c’è chi mette il Gianicolo al posto del Campidoglio. Complicando la faccenda, testi successivi, del lV secolo d. C. escludono Aventino e Viminale, ma conteggiano Gianicolo e Vaticano.

Sommandoli tutti si deduce che i romani distinguevano una ventina di alture,da dove spuntarono allora i sette colli? Forse dalla cerimonia del Septimontium, nome che deriverebbe però da saepti, cioè recintati, e non dal numero sette.

I trecento “Giovani e forti“ della Spedizione di Sapri erano appunto 300



Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! […]

Luigi Mercantini, La spigolatrice di Sapri (1858)

Sono i versi della poesia risorgimentale di Luigi Mercantini, La Spigolatrice di Sapri, sull’impresa di Carlo Pisacane.

Ma ecco i fatti: Il 25 Giugno 1857 il rivoluzionario napoletano diede vita a una fallimentare impresa che avrebbe dovuto scatenare l’insurrezione del Meridione e finì invece in un massacro.

Pisacane (che inizialmente puntava alla Sicilia) sbarcò sull’isola di Ponza dopo aver dirottato un piroscafo.

Con lui c’erano 24 compagni, coi quali Pisacane assaltò il carcere dell’isola e liberò 333 detenuti, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Sbarcò poi sulla costa di Vibonati (Sa), quindi la poesia (scritta alla fine del 1857) approssimò sia il numero che il luogo (Vibonati è più a nord di Sapri).

Note


[STORIA BUGIARDA] Babbo Natale, Hitler e Napoleone

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NAPOLEONE FU DETTO “IL PICCOLO CAPORALE” PERCHÉ ERA BASSO”



Non era un gigante, ma non si poteva certo definire basso, secondo le fonti Napoleone era alto un metro e 69 centimetri, una statura di tutto rispetto negli anni in cui visse (1769- 1821) è nella media dei suoi tempi.

È noto infatti che l’ altezza delle popolazioni aumenta progressivamente da una generazione all’altra grazie alle migliori condizioni alimentari e igienico sanitarie, fino a raggiungere un livello stabile (com’è avvenuto per molti popoli occidentali, ma non per alcuni di quelli in via di sviluppo).

Perché allora Napoleone fu definito le petit caporal, cioè il piccolo caporale?

L’ipotesi degli storici è che si trattasse di un soprannome dovuto all’affetto e alla simpatia che i soldati nutrivano nei suoi confronti nonostante la giovane età e non alla statura.

CESARE MORENDO DISSE “TU QUOQUE, BRUTE, FILI MI“



Di sicuro non disse quelle parole, lo scrittore latino Svetonio (70-126) riferisce che morendo Cesare disse in greco “Kai su tectnon“ (anche tu figlio), perché quella era la lingua dell’elite romana.

Questa versione dei fatti però è messa in dubbio dallo stesso Svetonio, secondo il quale Cesare, in quel fatidico giorno delle idi di Marzo del 44 a.C.

Emise un solo gemito e non disse alcuna parola. La frase (tradotta in seguito in latino con l’aggiunta del nome Bruto) ebbe però fortuna, oltre allo sgomento di Cesare nel vedere Marco Giunio Bruto, suo pupillo, tra i congiurati, esprime il dramma universale del tradimento.

RASPUTIN FU EVIRATO



Il monaco russo Grigorij Efimovic Rasputin, eminenza grigia della zar Nicola II fu assassinato a San Pietroburgo il 19 dicembre 1916 in una congiura di nobili. Su moventi, mandanti e circostanze dell’omicidio non si è mai fatta del tutto chiarezza.

Probabilmente Rasputin venne avvelenato durante una cena ma non morì

Allora gli spararono al petto e alla schiena e fu gettato nella Mojka, uno dei canali della capitale. Il cadavere riemerse tre giorni dopo e l’autopsia dimostrò che il monaco fu gettato in acqua ancora vivo.

La tempra eccezionale, insieme alla statura e alla fama di donnaiolo, alimentarono dicerie sulla sua prestanza sessuale. Da qui nacque la leggenda dell’evirazione, sfregio simbolico al superdotato monaco, attribuita di volta in volta agli stessi assassini o a chi partecipò all’autopsia.

Nel 2004, al Museo dell’erotismo di San Pietroburgo, fu esposto uno smisurato “pene di Rasputin“, a detta del proprietario acquistato per 8 mila dollari in Francia, dove sarebbe giunto “al seguito“ di una dama di corte della zarina.

Inutile tentare riscontri autoptici o test del DNA, il cadavere di Rasputin fu dissepolto e bruciato durante la Rivoluzione Russa del 1917, mentre la documentazione dell’autopsia scomparve durante l’epoca staliniana.

BUFFALO BILL FU CHIAMATO COSÌ PERCHÉ UCCISE 5000 BUFALI IN 18 MESI



Diventò famoso per le sue imprese di caccia. William Frederik Cody uccise, secondo le fonti, 4280 animali in 18 mesi, quindi meno di 5000. E non erano neppure bufali: si trattava invece di bisonti, e la confusione nacque da un errore linguistico.

L’inglese buffalo infatti, si usava (e si usa ancora impropriamente) per indicare anche i bisonti.

I bufali d’altronde, animali tipicamente africani e asiatici, non esistono in America, dove Buffalo Bill fu assunto come cacciatore per procurare cibo agli operai che stavano costruendo le prime linee ferroviarie.

Fu allora che fu celebrato per l’impresa di caccia che gli diede il nome.

HITLER ERA TEDESCO



No, era austriaco, nacque a Braunau-am-inn, vicino a Linz, allora parte dell’impero austroungarico. Il 20 aprile 1889, a solo 24 anni, si spostò a Monaco di Baviera, fuggendo da Vienna, dove, rimasto orfano, si era trasferito.

Nell’agosto dell’anno dopo il Reich tedesco entrò nella Prima Guerra Mondiale, lui si arruolò come volontario nel 16° Battaglione di fanteria bavarese, iniziando poi la sua carriera politica.

Si dice che fosse vegetariano

Niente affatto. È vero invece che, a causa dello stato di salute precario e della sua ipocondria, intraprese numerose diete, nel corso delle quali si privò di alcol e carne, senza però divenire del tutto vegetariano.

Sembra sia stato il suo ministro della Propaganda a manipolare questa circostanza

l’obiettivo fu spingere l’opinione pubblica a considerare il Fuhrer più buono e farlo accettare meglio nell’alta società, in un’epoca in cui il vegetarianesimo era molto diffuso tra gli intellettuali e benestanti di mezza Europa.

NERONE SUONAVA LA LIRA MENTRE ROMA BRUCIAVA



Gli storici a questa leggenda non hanno mai dato credito, a diffonderla era stato, due secoli dopo il devastante incendio che nel 64 d.C. Aveva distrutto l’Urbe, lo storico Dione Cassio, inventandosi che Nerone era salito sul colle Palatino e aveva suonato la lira e cantato l’incendio di Troia. Diffamato.

Di Nerone si disse anche che fu addirittura il responsabile di quel rogo per far spazio alla Domus Aurea o, secondo altre versioni,per favorire il rinnovamento urbanistico della città.

Lo fecero soprattutto scrittori ostili alla sua politica, come Svetonio.

Tacito riferisce invece che Nerone, fuori città quando scoppiò l’incendio, accorse a Roma appena seppe la notizia, per coordinare i soccorsi e contenere i danni.

BABBO NATALE VESTE DI ROSSO DA SEMPRE



Prima degli anni 30 Babbo Natale era raffigurato più spesso come un elfo o uno gnomo vestito di verde o di blu.

C’era anche una versione marroncina disegnata nel 1862 dal vignettista Thomas Nast. Fu poiche la coca-cola nel 1931 consacrò la versione rossa di Babbo Natale, lanciato come testimonial della bevanda.

Lo fece grazie a un Santa Claus in bianco e rosso illustrato da Haddon Sundblom, disegnatore americano che si ispirò alla descrizione di Babbo Natale presente nel poema di Clement C. Moore.

Note


[STORIA BUGIARDA] D’Annunzio, Houdini e Dante Alighieri

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DANTE DI PROFESSIONE ERA UN POETA



Dante dedicò gran parte della sua vita a scrivere,ma la sua vera professione era un’altra: Quella di medico.

Lo provano le regolari iscrizioni, a partire dal 1295, all’arte dei medici e degli speziali e il fatto che indossasse spesso un vestito lungo rosso, si trattava del “lucco”, che rendeva ragione di una professione di un certo rango.

La sua scelta ebbe uno scopo preciso, a Firenze una legge obbligava chiunque volesse ricoprire cariche pubbliche ad immatricolarsi in una delle principali associazioni di professionisti, e Dante, per poter esercitare la sua grande passione per la politica, scelse la professione medica.

Ma Dante fece mai il medico?

Pare di si, a giudicare dalle fonti storiche, è certo che tra il 1285 e il 1287 frequentò Taddeo Alderotti, docente all’università di Bologna, figura di punta nell’ambiente medico del tempo, ma la vera prova è la familiarità con i termini medici che il poeta dimostra di avere nel suo capolavoro la Divina Commedia, soprattutto nell’inferno, che è anche un viaggio nel mondo del dolore fisico e della malattia.

Ecco qualche esempio, nel XXIX canto, descrivendo la pena a cui sono sottoposti i falsari, riporta con minuzia i sintomi della scabbia, i dannati, pieni di macchie, (dal capo al piè di schianze macolati) e in preda ad un forte prurito (del pizzicor, che non ha più soccorso), si grattano l’un l’altro, ma forse la descrizione più cruda è quella, nel XXVIII canto, del corpo squarciato di Maometto, con tanto di interiora in bella vista tra le gambe pendean le minugia (le budella) , la coratra (gli organi intorno al cuore) pareva e l’tristo sacco (lo stomaco) che merda fa di quel che si trangugia.

NOME DI BATTESIMO DI MOZART ERA AMADEUS



Quando nacque a Salisburgo, in Austria, il 27 gennaio 1756, fu battezzato Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus Mozart, ma allora perché oggi lo chiamiamo Wolfgang Amadeus  Mozart, e lui stesso si firmava così.

In famiglia era chiamato Wolfgang, ma presto cominciò a usare il suo terzo nome latinizzato, il greco Theophilus divenne (per seguire una moda diffusa) il latino Amadeus e, dal 1777 , il francese Amadè. Tutti nomi con lo stesso significato, come nell’italiano Amedeo “amato da dio”.

L’AMORE FRA ABELARDO ED ELOISA FU PLATONICO



La storia di Abelardo (chierico e professore di teologia, nato in Bretagna nel 1079) ed Eloisa, diventata celebre per il focoso epistolario amoroso che i due si scambiarono, iniziò che lei aveva appena 17 anni.

Lui l’avvicinò diventandone il precettore, ma ben presto, come scrive lo stesso Abelardo furono “più i baci che le spiegazioni” Dalla loro relazione clandestina nacque persino un figlio, che fu chiamato Astrolabio, seguì un matrimonio riparatore celebrato in gran segreto (per non intralciare la carriera di lui), ma i parenti di lei mal digerirono la faccenda e fecero evirare Abelardo e rinchiudere Eloisa e il figlio in convento.                        

ALBERTO DA GIUSSANO PARTECIPÒ ALLA BATTAGLIA DI LEGNANO



Niente affatto, anche perché Alberto da Giussano pare non sia mai esistito, si tratta, per la maggior parte degli storici, di un personaggio leggendario che sarebbe vissuto nel XII secolo, citato in opere letterarie scritte nel Tardo Medioevo.

Il nome appare per la prima volta in una cronaca storica dedicata alla città di Milano ( XIV) secolo, scritta per compiacere in toni eroici Galeazzo Visconti .

Qui si parlò di Alberto da Giussano come del cavaliere che si distinse nella Battaglia di Legnano (29 maggio 1176).

Da allora il personaggio è rimasto nell’immaginario collettivo  anche perché la battaglia è stata celebrata nel medioevo come esempio di vittoria di popolo contro l’invasore straniero, (al punto che Goffredo Mameli parla di Legnano nel nostro inno) .

Dal 1982 Alberto da Giussano ha conosciuto un’altra inaspettata fortuna, apparve infatti nel simbolo della Lega Lombarda e, dal 1989, in quello della Lega Nord.

HOUDINI MORÌ DURANTE UN SUO NUMERO



La morte del celebre illusionista Harry Hudini, nel 1926, non fu dovuta ai pericoli a cui si sottoponeva durante i suoi numeri (sotto quello in cui si liberava da una vasca d’acqua sigillata).

Fu invece colpa di uno studente appassionato di arti marziali che lo sfidò ad una prova di forza, colpendolo con un pugno al ventre senza dargli però il tempo di preparare i muscoli addominali.

Il giorno dopo Houdini accusò forti dolori, ma andò lo stesso in scena, pochi giorni dopo a Detroit al calare del sipario stramazzò al suolo con la febbre a 40.

La diagnosi fu peritonite, il colpo all’addome aveva forse contribuito a perforare l’appendice già infiammata. Operato d’urgenza Houdini morì il 31 ottobre 1926, a 56 anni.

DOPO L’ABIURA GALILEO AGGIUNSE SOTTOVOCE “EPPUR SI MUOVE”



Nel 1633 Galileo fu condannato dal tribunale dell’Inquisizione perché sosteneva che la terra ruotasse attorno al sole (e non il contrario), in procinto di recarsi a Roma per il processo, lo scienziato scrisse una lunga lettera all’amico Elia Donati definendo il libro in cui spiegava le sue teorie (il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo) “esecrando e più pernitioso per Santa Chiesa che le scritture di Lutero e Calvino“ Era quindi del tutto consapevole della gravità della situazione e del pericolo a cui lo esponevano le sue scoperte.

La storia ci racconta che Galileo non fu condannato a morte perché accettò di abiurare, cioè di disconoscere le sue intuizioni scientifiche e ristabilire la verità voluta dalla Chiesa.

Risulta però difficile credere che (come vuole la tradizione) in un clima di tale ostilità (che pochi anni prima aveva condotto al rogo il filosofo Giordano Bruno) Galileo si azzardasse a soggiungere, seppur sottovoce, la frase  “Eppur si muove”, riferendosi alla Terra, e infatti non andò così, questa ricostruzione fu inventata nel 1757 dal giornalista Giuseppe Baretto, che scrisse un’antologia in difesa della scienziato.

Fu lui a dipingere galileo più audace e temerario di quanto non fosse stato in realtà.

D’ANNUNZIO SI FECE TOGLIERE DUE COSTOLE?



Quella secondo cui il “Vate” si fece asportare due ossa del torace per praticare l’autofellatio è una diceria diffusissima e non solo tra i banchi di scuola, eppure è decisamente fantasiosa.

Intanto, l’idea dell’asportazione delle costole possa consentire l’autofellatio è priva di fondamento dal punto di vista medico.

E poi nessuna biografia di Gabriele D’Annunzio riporta questo dettaglio, è però facile capire perché la diceria ebbe fortuna, era molto credibile per un personaggio noto per l’intensa attività erotica e per l’esaltazione letteraria del piacere sessuale.

EINSTEIN ANDAVA MALE A SCUOLA



Diversamente da una diffusa leggenda (molto tenace perché paradossale) che lo dipinge come un pessimo studente, soprattutto in matematica. Albert Einstein ebbe invece un rendimento scolastico sempre buono.

È vero però che, in giovane età, il futuro scienziato si sentiva a disagio sui banchi per l’autoritarismo imperante anche nelle scuole tedesche e che i suoi atteggiamenti irritarono più di un professore.

Note


[STORIA BUGIARDA] Medioevo, Lady Godiva e le piramidi

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Continua la rubrica di Paolo Algisi dedicata ai luoghi comuni della storia più duri a morire

Le piramidi le costruirono gli schiavi



Questo è uno dei luoghi comuni sull’Antico Egitto più duri a morire.

Frotte di schiavi che sotto i colpi di frusta spingono i pesanti blocchi di pietra delle piramidi.

Invece le tombe dei faraoni furono edificate da operai salariati

La conferma viene dagli scavi archeologici nella piana di Ciza, che hanno portato alla luce le tombe dei manovali che 4.500 anni fa parteciparono alla costruzione delle piramidi di Cheope e Cefren.

Erano egizi e non schiavi (che in Egitto erano soltanto prigionieri di guerra stranieri)

I grandi progetti di interesse nazionale erano affidati alla popolazione locale

È appurato che i grandi progetti di interesse nazionale quali piramidi ma anche dighe, erano affidati alla popolazione locale, tenuta ad un periodo di lavoro obbligatorio in occasione delle piene del Nilo, quando i campi non erano coltivabili.

Lavorare per l’ultima dimora del faraone garantiva un ottimo vitto. Le famiglie più ricche inviavano ogni giorno 21 vitelli e 23 montoni ai cantieri, in cambio di sgravi fiscali.

Poteva però capitare che vettovaglie o salari arrivassero in ritardo. Allora gli operai secondo l’espressione egizia si “coricavano”, ovvero scioperavano

Secondo testimonianze, accadde varie volte.

Una delle più importanti descrizioni è in un papiro conservato al Museo Egizio di Torino, che riporta le proteste avvenute nel 29° anno di regno di Ramses III (intorno al 1180 a.C.).

Si tratta di un’epoca successiva alla costruzione delle piramidi, durante la quale, però, gli operai addetti alle tombe monumentali (per esempio nella valle dei Re) avevano a disposizione villaggi dove vivere comodamente, con tanto di scuole.

Come nacque allora la credenza?

La colpa fu degli storici greci, non riuscendo ad immaginare la costruzione di questi edifici senza l’impiego di masse di schiavi, ma anche della Bibbia, dove si dice che la schiavitù era diffusa in Egitto.

I cani San Bernardo portavano i barilotti col Brandy



Che i San Bernardo soccorrano le vittime delle valanghe con un goccetto d’alcol è un’invenzione dell’Ottocento.

l’immagine del cane con il barilotto del brandy al collo è nata infatti dalla fantasia del pittore naturalista inglese, tale Edwin Landseer.

Nel 1831 Landseer dipinse il quadro “Mastini delle Alpi che rianimano un viaggiatore in difficoltà”, nella tela uno dei due cani di San Bernardo (dal nome dell’allevamento sul passo svizzero del San Bernardo) porta al collo un barilotto da brandy.

Quell’iconografia fece il giro del mondo

In realtà questi animali, in origine con il nome di mastini delle Alpi o cani di Barry e impiegati come animali da trasporto, non hanno mai portato con sé alcol (che comunque non va mai dato in questi casi).

Le catacombe erano un luogo di culto



È una falsa credenza, così come quella che ritiene che fossero rifugio dei primi cristiani durante le persecuzioni, diventando le prime chiese.

In realtà erano le sepolture

Normali necropoli a colombario come quelle usate anche dai pagani.

Quelle dei cristiani di Roma erano per lo più lungo la Via Appia e con lo sviluppo delle comunità divennero più grandi e complesse, raggiungendo la profondità fino a 30 metri nel tufo.

Gli unici riti però che vi si celebravano erano quelli di sepoltura.

Nel medioevo si bruciavano le streghe



I dati raccolti dagli storici parlano chiaro, la caccia alle streghe, ossia la persecuzione delle donne sospettate di compiere sortilegi e di intrattenere rapporti con il diavolo, iniziò solo alla fine del Medioevo.

Intorno al 1430 e raggiunse il culmine nel 500-600, in pieno rinascimento, durante i conflitti di religione fra cattolici e protestanti.

Fu allora che vennero processate per stregoneria circa tre milioni di persone (80% donne) di cui circa 40 mila furono condannate a morte

Durante i “Secoli bui“, invece, l’inquisizione fu implacabile soprattutto contro gli eretici, che spesso finivano al rogo se non abiuravano.

Le persecuzioni avvenivano senza mostrare particolare interesse per le accuse di stregoneria e alcuni papi medioevali cercarono persino di difendere le donne accusate di provocare tempeste e malattie.

Dal tardo Quattrocento le cosiddette “streghe“, ossia donne a cui venivano attribuite capacità soprannaturali, finirono nel mirino

Dal momento che questi poteri spettavano solo a Dio, chi sapeva metterli in atto, sosteneva la chiesa, non poteva che averli appresi dal Diavolo.

L’accusa di alleanza con Satana fece a quel punto assimilare le streghe agli eretici (tra i quali gli aderenti alla Riforma di Lutero).

Del resto, il Malleus maleficanum (martello dei malefici), il testo scritto nel 1486 da due domenicani tedeschi e che divenne il manuale di riferimento per gli inquisitori, si apriva con la frase: «Sostenere che le streghe esistono è cattolico, negarlo è un’eresia»

Ad accanirsi contro le donne, però, non fu solo l’Inquisizione

I tribunali protestanti diedero un grande contributo alla carneficina.

A finire sul rogo erano donne accusate di malefici a base di intrugli magici (le herbarie), depositarie di antichi saperi erboristici e sciamanici e di adorare il demonio nel “sabba“.

Una diceria, questa, nata forse da riti pagani travisati dagli inviati del Papa.

La caccia continuò anche dopo il rinascimento, tra il Seicento ed il Settecento.

L’ultimo rogo di una strega avvenne in Baviera (Germania) nel 1756, in pieno Illuminismo.

Nell’anno mille dopo Cristo si aspettava la fine del mondo



Che la gente alla fine dell’anno mille fosse terrorizzata per l’imminente fine del mondo annunciata dall’Apocalisse è un mito nato tra il 500 e l’800.

È la celebre profezia “Mille e non più Mille“, attribuita a Gesù, è un’interpretazione tarda delle enigmatiche parole dell’Apocalisse, “Dopo Mille anni Satana sarà disciolto“.

Le fonti coeve non fanno menzione di alcuna psicosi tra il popolo (che peraltro seguiva diversi calendari).

I garibaldini vestivano sempre la camicia rossa



La “divisa” fu adottata nel 1843 da Garibaldi a Montevideo, in Uruguay, per la sua legione Italiana.

Ma quando i volontari garibaldini furono inquadrati nell’esercito piemontese, nel 1848, indossarono ben altra mise: tunica scura, pantaloni grigi con banda verde, cappello con tre piume su un lato.

Solo 150 dei garibaldini sbarcati a Marsala nel 1860 portavano la camicia rossa, gli altri erano vestiti come capitava.

Nei combattimenti gladiatori pollice verso significava morte



Le fonti latine riportano espressioni come: verso pollice o pollicem vertere (o convertere) per indicare la richiesta di morte, da parte del pubblico, di un gladiatore sconfitto.

Pollicem premere significava invece risparmiarlo, benché le stesse fonti non siano chiare circa i gesti corrispondenti.

La maggior parte degli studiosi ritiene che nel primo caso il pollice fosse all’insù, mentre nel secondo fosse chiuso nel pugno.

La nostra idea di pollice verso, perpetuata dai Kolossal cinematografici, risalirebbe al 1872, quando il pittore francese Jean-Lèon Gèròme dipinse il pubblico del Colosseo che chiede la morte di un gladiatore con il pollice rivolto all’ingiù.

I guerrieri vichinghi portavano corna sui loro elmi



È vero che Vichinghi usavano copricapi con le corna, ma non in battaglia.

Li indossavano per cerimonie e feste e in corni di animali bevevano idromele.

Ad usare corna sugli elmi erano invece i guerrieri celti

L’equivoco nacque nel seicento, quando alcuni pittori cominciarono a dipingere Germani in assetto da battaglia con elmi decorati con corna animali.

L’iconografia fu ripresa dagli artisti del Romanticismo finché, negli anni Venti dell’Ottocento, il pittore svedese Gustaf Malmstrom decorò anche gli elmi dei vichinghi con le corna.

Il successo degli elmi “cornuti“ fu decretato poi dal ciclo operistico di Richard Wagner ”l’anello del Nibelungo” in cui le valchirie, divinità guerriere della mitologia nordica, portavano corna di vacca attaccate agli elmi.

Da qui attinsero i libri per ragazzi, fumetti e film.

La svastica fu inventata dai nazisti



Il simbolo della croce uncinata (in sancrito svastika) risale alla preistoria, come simbolo del ciclo della vita e delle stagioni si trova su manufatti greci, della civiltà indo-iranica come pure di quella germanica.

Nell’antica Cina, invece, simboleggiava i punti cardinali

Nel buddismo divenne un talismano, mentre nel giainismo (una religione indiana) quattro bracci corrispondono al mondo dell’uomo, a quello degli Dei, a quello animale e a quello degli inferi.

Prima del nazismo, in Germania la adottarono i movimenti che si rifacevano all’ideologia nazionalista germanica

Hitler la riprese nel 1920 come effigie del partito nazionalsocialista e poi, con l’aggiunta dell’aquila imperiale ne fece il simbolo del Terzo Reich.

I crociati imponevano alle loro mogli la cintura di castità



A dimostrare che si tratta di due falsità storiche, sono una serie di analisi su diverse cinture di castità tradizionalmente attribuite all’XI – XIII secolo, si sono rivelate di epoca successiva.

Cavalieri medioevali che partivano per la lunga avventura delle crociate con in tasca la chiave della cintura di castità delle proprie mogli, di cui blindavano letteralmente l’illibatezza, oppure nobildonne che indossavano spontaneamente “cintole di Venere“ per evitare stupri e nascite di figli illegittimi.

Persino il British Museum di Londra che dal 1846 esponeva un “originale”, lo ritirò negli anni 90 dalle sue bacheche in quanto falso

La maggior parte di queste “cinture di castità” fu infatti realizzata nell’ottocento, quando si consolidò questa diceria sul Medioevo.

Molte sono in realtà apribili e riportano frasi oscene, lasciando pensare che si usassero per giochi erotici.

La crocifissione fu inventata dai romani

Le prime notizie di condanne al “palo” risalgono ai Sumeri (2000 a. C. circa).

I Greci nel V secolo a.C. Avevano l’ apotynpanismos (una condanna al palo con frantumazione delle ossa) e a Roma la pena si affermò solo intorno al 200 a.C.

La Gioconda fu trafugata da Napoleone

Napoleone trafugò molti capolavori italiani, ma non il quadro di Leonardo, che fu portato in Francia da Leonardo stesso, quando nel 1516 si trasferì alla corte di re Francesco I.

Nel Far West ci si sfidava a duello

L’immagine dei due pistoleri che si fronteggiano davanti al saloon è un mito cinematografico.

Le sparatorie nella frontiera americana erano molte, ma esiste un solo caso documentato di duello: il 21 luglio 1865 a Springfield (Missouri) il pistolero Bill Hickok uccise il rivale in amore Davis Tutt.

I campi di concentramento furono un’idea dei nazisti

Campi in cui rinchiudere civili su base etnica furono ideati dagli inglesi durante la Seconda guerra anglo-boera (1899-1902) in Sudafrica, e non dai nazisti

I britannici diedero fuoco ai raccolti e ai villaggi boeri (coloni di origine olandese), deportando vecchi, donne e fanciulli in campi dove morirono oltre 40 mila persone.

I britannici, a loro volta, secondo alcuni storici si sarebbero ispirati agli spagnoli, che avevano rinchiuso in campi gli indigeni di Cuba

Con la prima guerra mondiale in Francia si costruirono campi in cui furono rinchiuse migliaia di persone “colpevoli” di essere tedesche o austriache e negli anni 30 Stalin avviò in URSS deportazione di massa.

Ma furono i nazionalisti turchi, nel 1915-16, a organizzare la prima campagna sistematica: oltre 800 mila armeni morirono in quei campi di concentramento (molti in Siria).

Una politica di genocidio a cui Hitler si ispirò

Ai nazisti resta il triste primato dei campi di sterminio, il cui scopo, oltre al lavoro forzato, era l’uccisione programmata nelle camere a gas di ebrei, zingari, omosessuali e ritardati mentali.

I feudatari godevano dello “Ius primae noctis”

Il “diritto della prima notte” è passato alla storia come il diritto del feudatario di trascorrere con le mogli dei suoi servi della gleba la prima notte di nozze.

In realtà si trattava di una tassa (in denaro non in natura) chiesta dal signore in cambio del suo assenso al matrimonio.

Il mito moderno relativo all’epoca Medioevale si sviluppò a partire dall’Illuminismo, che ebbe una propensione a denigrare il Medioevo.

Filippide  annunciò la vittoria di Maratona

A narrare l’impresa dell’araldo Filippide (o Fidippide) che dopo la vittoria greca sui Persiani a Maratona, sarebbe corso ad Atene per dare la notizia, morendo subito dopo, fu lo scrittore greco Luciano di Samosada, cinque secoli dopo la battaglia.

Lo storico Erodoto, contemporaneamente ai fatti benché non sempre attendibile, raccontando della battaglia riferì solo di un Filippide che corse a chiedere aiuto agli spartani.

I pellerossa toglievano lo scalpo ai bianchi

Al contrario, furono i coloni europei, a fine 600, a diffondere nel Nord America questa pratica, le cui tracce archeologiche sono limitate alla preistoria.

Le autorità coloniali offrivano fino a 100 sterline per lo scalpo di un giovane indiano (la metà per quello di una donna).

La vergine di Norimberga era uno strumento di tortura

Un armadio metallico a vaga forma di donna che, una volta chiuso, trafigge la vittima con affilatissime lame.

I resti del corpo dilaniato vengono gettati, a Norimberga (Germania), nel fiume che scorre sotto la sede del tribunale.

aAccadeva in pieno Medioevo, secondo il filosofo tedesco Johann Siebenkees.

A sentir lui lo strumento di morte sarebbe stato usato per la prima volta il 14 agosto 1515 per punire un falsario

Peccato che la “Vergine di Norimberga” fosse solo frutto della sua fantasia e che tutti gli esemplari che fanno bella mostra di sé nei musei delle torture medioevali risalgano all’ottocento.

I pirati nascondevano il loro tesoro sottoterra

Di mappe del tesoro, di isole sperdute e di forzieri pieni zeppi di gioielli nascosti sottoterra, sono ricche le storie sui pirati.

Ma nella realtà i bottini dei predoni che infestarono i mari tra il 600 e 700 (l’età d’oro della pirateria) venivano spesi tra una scorribanda e l’altra e di tesori se ne vedevano ben pochi.

C’è però un’eccezione che conferma la regola

Nel 1699 il capitano William Kidd, il famigerato pirata scozzese, sotterrò il frutto delle sue rapine a Gardiners Island, vicino a New York, allora colonia inglese.

Gli costò la carriera. I preziosi recuperati divennero una prova schiacciante nel processo per atti di pirateria istruito contro di lui.

Kidd fu condannato a morte e giustiziato nel 1701.

Gli spartani gettavano i neonati deformi

L’archeologia ha dimostrato che i resti trovati ai piedi del monte Taigeto, presso Sparta erano di adulti

Si trattava forse di condannati alla precipitazione, pena prevista per reati politici anche ad Atene nel V secolo a.C.

Vero è invece che i piccoli spartani (come altri bimbi greci) erano esposti sui monti per fortificarli.

Lady Godiva andava in giro a cavallo completamente nuda

La leggenda è nata in epoca medioevale

Lady Godiva, alla metà dell’XI secolo, era la moglie di Leofric, conte di Mercia e signore di Coventry, in Gran Bretagna.

L’uomo opprimeva i sudditi con tasse esorbitanti e la nobildonna tentò di convincerlo a ridurle.

Alla fine Leofric accettò ma solo a patto che la consorte percorresse nuda a cavallo le strade di Coventry.

Lei non si tirò indietro e lo fece coperta solo dai suoi lunghi capelli, le tasse sparirono tranne quella sui cavalli.

Tutto (o quasi) inventato

Secondo gli storici, la diceria sarebbe un’eco di riti diffusi in Gran Bretagna, come quello della fertilità che consisteva nell’accompagnare su un asino una ragazza nuda.

Sarebbe vero, invece, che a Coventry, nel periodo storico di Lady Godiva, fossero tassati solo i cavalli.

Note