Mar. Giu 17th, 2025

Italia

Referendum 8 e 9 giugno. Fratelli e fratellastri d’Italia
‎ L’elmo di Scipione Africano, quello decantato da Mameli nel Canto degli Italiani, sembra essere troppo stretto per accogliere tutti i suoi figli.

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Italiani veri, ma non per tutti. In Italia, secondo un’elaborazione di Openpolis, nel 2023 erano 1 milione i ragazzi di seconda generazione (ovvero quelli nati in Italia ma con genitori immigrati, NdR). Si parla di ragazzi e ragazze che hanno studiato in Italia tutta la vita. Per intenderci queste persone pensano, scrivono e leggono in italiano. Alcuni di questi già lavorano oppure lavoreranno in Italia, contribuendo allo sviluppo del nostro territorio, del nostro paese e della nostra economia, pagando le tasse qui.

Immigrati di seconda generazione. Non solo i nati in Italia

Nella seconda generazione, però, possono rientrare secondo alcuni studiosi anche i figli di quei migranti che non sono nati in Italia, ma sono stati portati qui dai genitori già da piccolissimi. Queste persone infatti affrontano lo stesso percorso di un bambino nato in Italia da genitori italiani o di un bambino nato in Italia da genitori stranieri. Attualmente però per questi casi l’iter per la cittadinanza non è lo stesso.

Partiamo dall’inizio. Come si ottiene la cittadinanza

Per i figli di genitori italiani vige il diritto di sangue (lo ius sanguinis) per il quale è italiano ogni persona con almeno un genitore con cittadinanza italiana. Per le persone nate da genitori stranieri nati in Italia, nella maggior parte dei casi, la cittadinanza può essere richiesta al compimento del diciottesimo anno di età, a patto di poter dimostrare di aver vissuto ininterrottamente in Italia da tutta la vita. Chi è nato all’estero da genitori stranieri, invece, la procedura è molto più complessa.

I nati all’estero da madre e padre stranieri

Se i genitori non acquisiscono la cittadinanza quando i bambini sono ancora minorenni, scattato il diciottesimo anno di età i ragazzi possono fare richiesta come ogni altro cittadino straniero, a patto di essere in possesso di requisiti specifici:

  • Residenza stabile in Italia da dieci anni;
  • Conoscenza certificata della lingua italiana almeno a livello B1;
  • Reddito minimo di 8.263,61 euro all’anno, a patto di essere celibi o nubili (altrimenti la cifra sale);
  • Assenza di condanne penali.

Queste regole valgono solo per i cittadini extracomunitari. I cittadini UE invece possono richiedere la cittadinanza dopo soli quattro anni, se sono già in possesso degli altri requisiti.

Gli italiani lasciati indietro. Burocrazia e requisiti irragiungibili

Facsimile documento di identità italiano (CC0 1.0)

Letto così, a discapito dell’evidente discriminazione tra cittadini europei e non europei, potrebbe anche sembrare un processo abbastanza lineare, ma bisogna considerare vari fattori.

In primis, la residenza stabile si dimostra con i contratti d’affitto, che spesso i proprietari di casa tendono a non fare in regola, o con le prove dell’acquisto di una casa e la residenza legale presso quell’indirizzo, quando però acquistare una casa costa parecchi soldi che spesso neanche gli Italiani per ius sanguinis hanno.

In secondo luogo, se consideriamo il reddito, quello dev’essere dimostrato da contratti in regola e soprattutto dev’essere continuativo nei tre anni precedenti alla richiesta. Con la condizione del precariato in Italia, dove spesso si è costretti ad accettare di lavorare senza contratto o dove si viene licenziati ingiustamente dal giorno alla notte, il requisito del reddito continuativo è già difficilmente ottenibile, e comunque da solo non basta.

Le procedure burocratiche spesso si protraggono per anni. Questi si aggiungono ai già dieci di residenza, arrivando quindi anche a quindici o vent’anni. I giudici nel mentre cancellano o rimandano udienze, le leggi cambiano e le procedure si modificano. Questo trasforma la cittadinanza italiana in un’oasi nel deserto per tutti quegli Italiani che ancora non lo sono su carta.

Come si è arrivati al referendum dell’8 e 9 giugno

L’anno scorso, il comitato di Referendum Cittadinanza, sostenuto da varie forze politiche di centro, centrosinistra e sinistra, ha lanciato un referendum di iniziativa popolare volto a modificare il tetto da dieci a cinque anni per i cittadini extra comunitari.

In soli 20 giorni, gli italiani hanno aderito in massa all’iniziativa raggiungendo 637.487 firme (su 500.000 necessarie, raggiunte il 24 settembre 2024), mandando più volte in down il sito del Ministero della Giustizia volto alle iniziative popolari. La Corte Costituzionale, poi, ha dichiarato ammissibile il referendum, e gli elettori sono stati convocati alle urne per i prossimi 8 e 9 giugno.

Referendum cittadinanza. Figli d’Italia ma non suoi cittadini

Ispirato da uno degli ultimi post dell’account Instagram dell’attivista Madonnafreeda dal titolo Fatevi cinque giorni nella vita di un immigrato, poi vediamo se cinque anni sono troppo pochi, decido di cercare qualcuno che abbia vissuto sulla sua pelle l’iter per capirne meglio le implicazioni.

Quando parlo con Maria Pascaru, studentessa ventisettenne di Anglistica presso La Sapienza, mi dice subito che lei vive qui da vent’anni ed è arrivata dalla Moldavia da quando ne aveva sette. Si è integrata, ha studiato e frequentato amici e compagni italiani.

«Quando sei piccolo non capisci perché le persone si comportino in questo modo con te o perché tu venga percepito come un alieno». Ci ridacchia sopra, mentre mi racconta della scuola. Mi dice anche di essere cresciuta con una madre single.

Quest’ultimo fatto ha danneggiato i suoi requisiti, a causa del reddito familiare troppo basso che non le permetteva di fare richiesta di cittadinanza. Alla fine è riuscita a farla solo a dicembre 2021, ottenendola a dicembre 2024.

Nessuna scorciatoia o privilegio. Solo un riconoscimento

«Moltissimi miei amici mi hanno detto che era scontato che avessi dovuto averla per il modo in cui mi sono integrata, per quanto parlo bene visto che molti italiani non sanno usare nemmeno il congiuntivo [ride], per tutto quello che io, mia madre e mio fratello abbiamo investito qui».

Mi parla poi delle sue difficoltà:
«Dieci anni te li fai, devi avere un aggancio economico per potertelo permettere perché ormai il posto fisso non si trova più. Quando ho fatto richiesta, Salvini aveva fatto alzare di cinquanta euro il bollettino, e che fai, te li paghi. Con i documenti da far tradurre all’ambasciata si alza tutto a tre piotte (trecento euro, NdR) più o meno».

«Quando dovevamo firmare [per l’approvazione del referendum], io non potevo ancora e facevo girare e firmare agli amici perché non era ancora molto conosciuta l’iniziativa».

Continua, prima di dirmi che sta cercando di capire come fare la tessera elettorale per votare al referendum e quanto si senta felice di non dover più fare la fila per rinnovare il permesso di soggiorno.

«È un’Odissea continua, chi dice che la regalano a tutti non ha idea di quanto faccia schifo quel sito (il sito delle richieste per la cittadinanza, NdR), ti chiedono pure i peli che hai sul corpo».

Poi, infine aggiunge:
«Mia madre se n’è accorta, di come veniamo trattati in maniera diversa da quando abbiamo la cittadinanza, sono molto più gentili con noi».

(in copertina immagine di repertorio Edmond Dantès)

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GFE: «La risposta dell’UE su Gaza è tardiva, timida e incompleta»
‎ Apertura su Gaza. L’associazione europeista ha criticato la recente risposta dell’Unione Europea sulla guerra in Palestina

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La gioventù federalista europea (GFE) si apre su Gaza. La GFE, associazione europeista nata nel 1951, ha infatti criticato la recente risposta dell’Unione Europea sulla guerra in Palestina, segnata dagli innumerevoli «attacchi criminali» compiuti da Israele.

L’associazione federalista fa riferimento al fatto che Il Consiglio dell’Unione europea, nella sua composizione Affari esteri, ha votato a maggio con larga maggioranza la proposta di rivedere l’accordo di associazione con Israele, siglato nel 1995, a causa appunto della sua condotta «inaccettabile» nella sua ufficialmente dichiarata lotta al terrorismo interno, dove la maggior parte dei bersagli sono però bambini, donne, operatori sanitari e giornalisti scomodi, civili innocenti e le loro case. Questa condotta di guerra è stata definita da più osservatori internazionali indipendenti genocidaria e con il palese intento di effettuare una completa sostituzione etnica nei territori di Gaza.

«Come Gioventù Federalista Europea, accogliamo con favore il fatto che l’Unione si sia finalmente espressa sulla questione» – recita il comunicato stampa – «Tuttavia, non possiamo che rammaricarci del fatto che questa presa di posizione del Consiglio giunga in risposta non alle minacce israeliane di deportazioni di massa della popolazione palestinese, né al blocco degli aiuti umanitari che sta causando una carestia di proporzioni drammatiche nella Striscia, bensì solo dopo che l’esercito israeliano ha aperto il fuoco in aria contro diplomatici europei. Un gesto che pare suggerire una differenziazione tra vite meritevoli di tutela e vite sacrificabili».

La GFE al 43° Seminario di Ventotene del 2024 (Foto Pitzoi Arcadu)

Guerra in Palestina e distruzione di Gaza. L’appello della GFE all’UE: «uscite dall’immobilismo»

La GFE, con l’apertura su Gaza, si aggiunge quindi al coro di contestazione che evidenzia come, dopo oltre venti mesi di conflitto segnati da innumerevoli crimini di guerra attribuiti al Governo israeliano, ben nove Stati membri (tra cui l’Italia) abbiano comunque votato contro a una misura che comunque risulta blanda e allo stato attuale simbolica, dato che non prevede sanzioni concrete nei confronti di Israele ma solo la volontà di aprire la revisione dell’accordo.

L’Unione europea è una comunità politica con un interesse strutturale nell’affermazione di un ordine internazionale, fondato sul diritto internazionale e su Istituzioni multilaterali che siano garanti della pace mondiale. Per questo, ha una responsabilità storica: Uscire dall’immobilismo.

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Sciopero della fame, Di Napoli e Squarcione sono al decimo giorno

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Sciopero della fame ad oltranza, ora sono dieci giorni. Alla data del 19 maggio 2025 Sardegna Radicale-Tonino Pascali, Nessuno Tocchi Caino, Europa Radicale e Associazione Radicale Adelaide Aglietta comunicano1comunicato del 19.05.25 “DECIMO GIORNO DI SCIOPERO DELLA FAME PER CHIEDERE LA RIFORMA DELLE CARCERI, IL RITIRO DEL DECRETO SICUREZZA E IL RISPETTO DELLA COSTITUZIONE” il proseguimento dello sciopero della fame ad oltranza. La protesta nonviolenta è nata per chiedere la riforma delle carceri, il ritiro del DDL Sicurezza e il rispetto della costituzione in materia di diritti dei carcerati. Le attiviste principali dell’azione sono Laura Di Napoli, coordinatrice di Sardegna Radicale-Tonino Pascali e Chiara Squarcione, membro del direttivo di Europa Radicale e della giunta dell’Associazione Radicale Adelaide Aglietta.

«Sono questi i motivi che mi portano a chiedere alla Regione Sardegna di impugnare il decreto davanti alla Consulta (il DDL sicurezza, ndr)» – dichiara Laura Di Napoli – «perché peggiora le condizioni disumane delle carceri, aumentando sovraffollamento e degrado, ostacola la filiera legale della canapa, svuota l’autonomia delle Regioni, restringe libertà fondamentali, alimenta divisioni e paure».

Laura Di Napoli e Chiara Squarcione (foto concessa)

Sciopero della fame per i carcerati: come è iniziato

Oggi ricorre il decimo giorno di sciopero della fame per Laura Di Napoli e Chiara Squarcione. La loro azione nonviolenta si inserisce nell’ambito dell’iniziativa promossa da Nessuno tocchi Caino per sollecitare una risposta urgente al dramma del sovraffollamento carcerario e per sostenere la proposta di legge Giachetti, che rappresenta una riforma strutturale del sistema penitenziario.


L’apertura di Ignazio La Russa

Il Presidente del Senato Ignazio La Russa aveva già riconosciuto il sovraffollamento carcerario come problema prioritario il 15 maggio e ha indicato come possibile soluzione la proposta di legge sulla liberazione anticipata presentata dall’On. Roberto Giachetti (IV). Lo sciopero adesso è infatti accompagnato dalla richiesta che venga rispettato l’impegno assunto dall’On. Ignazio La Russa, che ha promesso di incontrare questa settimana l’On. Roberto Giachetti, promotore della proposta di riforma. Questo incontro può rappresentare un primo, concreto passo verso un cambiamento non più rimandabile.

Cosa chiedono adesso i radicali

Di Napoli e Squarcione chiedono adesso alla Regione Sardegna di seguire l’esempio dell’Emilia-Romagna e di impugnare il Decreto Sicurezza davanti alla Corte Costituzionale.

Una richiesta che viene estesa a tutte le Regioni governate da forze politiche che hanno condannato pubblicamente il Decreto, affinché trasformino la loro posizione politica in un’azione concreta, assumendosi la responsabilità di difendere i principi costituzionali e i diritti delle persone.

Chiara Squarcione sottolinea: «La politica deve avere il coraggio di affrontare con lucidità e responsabilità la questione carceraria. Non si può più rimandare una riforma che riguarda la tenuta democratica del Paese e la credibilità delle istituzioni. Chiediamo l’estensione delle misure alternative alla detenzione, investimenti concreti nella salute e nella funzione rieducativa della pena, e la revoca immediata di normative che aggravano il sovraffollamento e violano principi costituzionali».

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[ECONOMIA] Crisi o ripresa?

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L’incertezza e le crisi dei mercati internazionali hanno portato un malessere generale sulle iniziative e sullo sviluppo delle microimprese, da sempre ruota trainante delle economia nazionale.

La burocrazia e l’ottusità delle istituzioni non incoraggia l’imprenditore o l’impresa consolidata ad effettuare ulteriori investimenti.

I “consumatori” che preferiscono privilegiare i risparmi alle spese, timorosi del futuro, la mancanza di dati precisi sulla congiuntura mondiale e dei settori veramente trainanti.

Siamo in una situazione in cui la possibilità di trovare un posto di lavoro “fisso” sta diventando un miraggio, e la speranza di pianificare una vita diventa un sogno difficile da raggiungere.

Sembra una catastrofe, forse no

Esistono ancora dei settori dove la piccola impresa e l’autoimpiego possono creare profitto, basta buona volontà e iniziativa per creare dal niente un’attività autonoma e redditizia, ricordiamoci che la nostra Regione può ancora dare tanto, sia nei settori dell’artigianato e del turismo.

Bisogna fare uno sforzo e capire che “il rischio imprenditoriale” non è una malattia mortale è qualcosa che si può riuscire a gestire e trarre qualcosa di buono.

In questo periodo si parla tanto di crisi economica e molte persone la vedono con pessimismo e si spingono a fare delle previsioni addirittura catastrofiche.

Vedere la crisi con occhi diversi, intravedendo delle opportunità anche in una fase così delicata significa avere una visione ottimistica della vita.

L’ottimismo ci aiuta anche e soprattutto nei momenti difficili e fa scorgere opportunità laddove altri vedono solo nero.

Anche i mass media pigiano sull’acceleratore della crisi e, pur di fare audience, continuano a parlare dell’attuale fase economica come se tutto il mondo dovesse crollare, come se non ci fosse via d’uscita.

In questa fase si possono scorgere i veri ottimisti, persone che riescono a vedere il bicchiere mezzo pieno anche in situazioni di difficoltà estrema quando dominano il pessimismo e la paura, la crisi sembra più nera di quanto non lo sia nella realtà e si prevede il peggio.

Bisogna quindi guardare l’attuale fase economica con spirito ottimista, ma con razionalità, convincendoci che si può uscire da un periodo nero col pensiero positivo avendo però l’accortezza di passare all’azione: quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare…

Nel cervello c’è solo spazio per una delle due cose: ottimismo e pessimismo

Queste non possono coesistere: un pizzico di pessimismo è un ottima fonte di realismo, ma affondarci dentro vuol dire fare la fine del Kamikaze.In altre parole se si profetizza che tutto andrà male è probabile che il futuro ci darà ragione per il semplice fatto che saremo noi, in primis, a contribuire all’avverarsi della profezia.

Assumere un approccio più ottimista e positivo non può che far bene: il che non vuol dire illudersi ma cercare di affrontare I problemi con uno spirito più energico e propositivo.

E non si tratta solo di buoni propositi e belle parole, ma anche di pura neuropsicologia: è infatti un fatto scientifico che chi adotta un approccio positivo verso le cose si rivela più energico e riesce più facilmente ad uscire da una situazione problematica.

Insomma, se preferite piangetevi addosso e strizzate i fazzoletti, ma questo potrebbe solo peggiorare la situazione.

Per dirla come un saggio se hai male al piede non ti sarà di grande utilità darci sopra dei colpi di clava.

Note


[PILLOLE DI STORIA] Domenico Alberto Azuni, l’illustre giurista

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Giurista insigne, gettò le basi del moderno diritto internazionale marittimo. Nacque a Sassari nel 1749 da famiglia medio borghese.

Laureatosi nel 1772 in leggi, dopo due anni di pratica legale, nel 1774 lasciò Sassari alla volta di Torino. Qui esercitò la pratica forense e, nel 1777, divenne pubblico funzionario dell’ufficio generale delle regie finanze.

Inviato a Nizza come giudice del consolato del commercio e del mare, ebbe modo di dimostrare la propria competenza e iniziò a pubblicare il Dizionario universale ragionato di giurisprudenza mercantile, in quattro volumi (1786-1788).

Quest’opera era il risultato di una ricerca sistematica di leggi e consuetudini delle città europee e si imponeva per le concezioni ampie e innovative, che raccordavano cambio, traffici ed attività marinare attraverso norme internazionali.

Per il giurista sardo i riconoscimenti non si fecero attendere

Vittorio Amedeo III conferì all’Azuni il titolo e i privilegi di senatore (1789) e lo incaricò di redigere il piano per il codice della marina mercantile degli Stati Sardi (1791).

Occupata Nizza dai francesi nel 1792, lo studioso fu costretto ad abbandonare la città ed a rifugiarsi a Torino. Iniziò un periodo difficile, segnato dalle invidie per la sua rapida e brillante carriera, che lo portò a trasferirsi a Firenze.

Chiese di tornare in Sardegna con un impiego ufficiale, ma anche questo, per volere degli stamenti sardi, gli fu negato. Seguirono privazioni e altri trasferimenti a Modena, Trieste e Venezia.

Nonostante le difficoltà, l’Azuni continuò a studiare, giungendo a pubblicare nel 1796 Sistema universale dei principi del diritto marittimo d’Europa, opera importantissima che gli valse la cittadinanza onoraria della città di Pisa (1796) e l’incarico da parte di Napoleone di redigere con altri giuristi il nuovo codice marittimo e commerciale francese (1801).

Negli anni 1799-1802 ebbe anche modo di dedicare alla Sardegna, sempre amata nonostante il rifiuto patito, le opere Essai sur l’histoire géographique, politique te naturelle du royaume de Sardaigne e Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne.

Queste opere mettevano in evidenza la centralità strategica dell’isola nel Mediterraneo e ne analizzavano le problematiche economiche in un’ottica straordinariamente moderna.

Pubblicò Droit Maritime de l’Europe nel 1805 e Origine et progrès de la législation maritime nel 1810, anno in cui fu anche nominato da Bonaparte cavaliere dell’Impero.

Gli ultimi anni

Con la successiva caduta di Napoleone, di cui era ritenuto un sostenitore, l’Azuni fu esonerato da ogni incarico. Come conseguenza si ritrovò a vivere nella sua casa di Genova in un’umiliante indigenza.

Nel 1818 il giurista Azuni entrò nella Reale Società Agraria ed Economica cittadina

Nel 1818, per l’intervento di influenti personaggi vicini al re Vittorio Emanuele I, fu nominato giudice del Supremo Magistrato del Consolato di Cagliari. Entrò infine a far parte della Reale Società Agraria ed Economica cittadina.

Dal 1820 alla pensione, avvenuta nel 1825, fu presidente della biblioteca universitaria di Cagliari: ruolo che svolse con particolare passione, rilanciando l’istituzione.

Morì nel 1827 lasciando i suoi beni ad una giovane donna, Maria Carpi, che l’aveva assistito fino alla fine con l’affetto di una figlia. Fu sepolto, come egli espressamente indicò, nella chiesa di Bonaria.

Note


LEGAMBIENTE: Caldaie a gas? Pezzi da Museo

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ROMA: Legambiente: «Stop alle installazioni di nuove caldaie alimentate a gas fossile entro il 2025». Presentata il 10 febbraio 2023 la nuova campagna denominata  “Caldaie a gas? Pezzi da Museo” a firma Legambiente, una delle più rinomate ONLUS ambientaliste d’Italia.

La campagna consisterà in una mostra itinerante che porterà in tutte le sue tappe la mostra Il “Museo delle caldaie” per raccontare con un pizzico di ironia la storia ed i problemi ambientali, sanitari e sociali delle caldaie a gas fossile.

Tale campagna è frutto di una collaborazione fra Legambiente e Kyoto Club ed è basata sui report dell’Agenzia Internazionale dell’Energia.

Cosa è la campagna  “Caldaie a gas? Pezzi da Museo”

Nomen omen (“un nome un destino” n.d.r) dicevano gli antichi romani. Lo scopo di questa nuova campagna di informazione parla chiaro: Decarbonizzare i sistemi di riscaldamento e raffrescamento responsabili quasi del 18% delle emissioni di CO2 in Italia abolendo l’installazione di caldaie a gas fossile, ritenute obsolete ed inquinanti.

Legambiente, in supporto con Kyoto Club, lancia così questa nuova sfida. Le due associazioni ambientaliste si augurano inoltre che i sussidi dedicati all’installazione di caldaie a gas inquinanti vengano dirottati verso l’incentivazione di tecnologie di riscaldamento moderne e più sostenibili.

Obiettivi della campagna

Questa campagna porte come punti cardine i seguenti obiettivi:

  • Combattere l’emergenza climatica;
  • Lottare contro la povertà energetica. 

Le tappe

La mostra sulle caldaie, partita da Bari il 14 febbraio 2023, toccherà oltre al punto di partenza ben altre 11 città italiane:

  • Avellino;
  • Ivrea;
  • Torino;
  • Roma;
  • Potenza;
  • Perugia;
  • Udine;
  • Padova;
  • Ancona;
  • Enna;
  • Napoli.

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Note


Vivere in Sardegna: perché può essere un’idea interessante?

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Vivere stabilmente in Sardegna può essere davvero un’idea splendida. Una soluzione che ha già intrigato moltissime persone e che, con ogni probabilità, è destinata ad avere un seguito ancor più importante nel prossimo futuro.

Se ci si chiede per quale motivo vivere in Sardegna possa essere una scelta interessante, non si può non citare immediatamente la qualità della vita che questa regione può offrire. Non è un caso, d’altronde, se la scelta di vivere stabilmente in Sardegna riguardi soprattutto coppie e persone non più giovanissime, le quali desiderano trascorrere la vecchiaia all’insegna della serenità e del benessere.

Ma come fare, dunque, a vivere in Sardegna?

L’idea di stabilirsi presso l’isola sarda riguarda per buone percentuali persone pensionate, le quali dunque non devono più preoccuparsi di guadagnarsi da vivere e possono concentrarsi sul desiderio di vivere una vecchiaia piacevole, priva di pensieri.

Allo stesso tempo, tra le persone che scelgono di vivere in Sardegna vi sono delle famiglie benestanti. Si tratta prevalentemente di importanti capitalisti anche stranieri, oppure imprenditori che non hanno impedimenti lavorativi da disbrigare personalmente.

Tra chi sceglie di vivere in Sardegna, tuttavia, vi sono anche dei giovani di ceto medio, che hanno quindi la necessità, come tutti, di trovare un lavoro.

Lavorare sull’isola

Le professioni connesse con il turismo sono numerosissime. Di conseguenza l’isola sarda riesce ad offrire ogni estate numerosissimi posti di lavoro. Il turismo sardo però, come noto, è prevalentemente stagionale. Di conseguenza riuscire a vivere con il solo lavoro estivo può obiettivamente non essere semplice.

Non bisogna dimenticare tuttavia che la Sardegna accoglie in diverse sue zone un turismo lussuoso ed elitario, attorno a quale orbita un business milionario. Di conseguenza alcune figure professionali, soprattutto di tipo manageriale, possono certamente assicurarsi tramite il solo lavoro estivo degli stipendi in grado di rivelarsi ampiamente sufficienti per tutto l’anno.

Il costo della vita

Potrebbe sembrare paradossale, eppure la Sardegna è molto apprezzata anche per il suo costo della vita, davvero molto basso. Sebbene come già detto alcune zone siano una meta assolutamente VIP e prevedano un costo della vita molto elevato, altri versanti dell’isola si rivelano pressoché opposti in tal senso.

Paragonando il costo della vita di molte zone della Sardegna a quello di numerose città italiane, soprattutto dei centri più importanti quali Roma e Milano, la differenza risulta davvero fortissima, soprattutto per chi ha la necessità di affittare un appartamento.

I collegamenti da e verso l’isola

La scelta di vivere in Sardegna è ottimale anche per quanto riguarda gli ottimi collegamenti che contraddistinguono quest’isola. Credere che la Sardegna sia mal collegata con l’Italia e con l’estero, infatti, sarebbe un errore.

I porti italiani da cui partono regolarmente numerosissimi traghetti per la Sardegna sono numerosi e riguardano ogni zona d’Italia: Genova, Livorno, Piombino, Napoli, Civitavecchia, Palermo.  

Anche per quanto riguarda l’estero la Sardegna è una regione molto ben collegata. Basti citare a tal riguardo porti quali quello spagnolo di Barcellona, quello francese di Marsiglia, e quelli, vicinissimi, situati in Corsica.

Sebbene infine il traghetto sia la soluzione più scelta da chi intende raggiungere la Sardegna, anche per il fatto che consente di poter trasferire sull’isola il proprio veicolo, non bisogna peraltro dimenticare numerose opportunità per quanto concerne i collegamenti aerei, soprattutto nei mesi estivi.

Vivere in Sardegna: conclusioni

Insomma, la Sardegna non è solo turismo, ma può essere anche una scelta di vita molto interessante, perfetta per chi pone la qualità della vita al primo posto tra le proprie priorità. Un’isola che può garantire un relax ed una distensione fisica e mentale senza precedenti.

La Sardegna infatti è la regione ideale per chi desidera costruirsi una vita ben distante rispetto al caos cittadino ed ai più tipici paesaggi urbani.

Note

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La corruzione politica e amministrativa in Italia

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La corruzione sembra essere un problema cronico della società italiana. Già conosciuta e oggetto di pubblico dibattito presso i romani, la corruzione non ha mai smesso di scandire il susseguirsi delle vicende storiche del nostro paese.

La corruzione politica: gli antefatti

Ricordiamo la vendita delle indulgenze ai tempi di Papa Leone X, che generò, per ripulsa, la Riforma protestante. Passando poi in anni più recenti allo scandalo della Banca Romana, che travolse il governo Giolitti nel 1892-93 e di cui parla anche Pirandello nel romanzo I vecchi e i giovani, per arrivare, ai giorni nostri allo scandalo delle tangenti, indicato dai giornali  anche col nome di “inchiesta di Mani Pulite” o “Tangentopoli”.

Uno scandalo che ha decimato la classe dirigente della Prima Repubblica

Negli anni novanta, dopo Tangentopoli, la corruzione ha coinvolto imprenditori e uomini politici ed ha decimato la classe dirigente della cosiddetta Prima Repubblica. Dopo Tangentopoli, la percezione di tanti è che in realtà la corruzione sia in Italia ancora molto diffusa.

Quando si parla di corruzione si fa riferimento, in realtà, a due reati specifici:

  • La corruzione propriamente detta: quando si offre denaro ad un pubblico funzionario per riceverne dei vantaggi;
  • La concussione: quando è il pubblico ufficiale a richiedere una ricompensa in cambio di favori da elargire.

Perché, allora, nonostante le condanne talvolta severe e i tragici prezzi umani pagati da alcuni inquisiti, la corruzione continua a prosperare nel nostro paese? Gli studiosi, sociologi, magistrati, economisti, ne hanno abbozzato, in questi anni, i motivi.

Molti hanno convenuto che l’Italia non sia ancora una democrazia forte e compiuta, con un mercato concorrenziale ben funzionante.

Le procedure della pubblica amministrazione sono farraginose. Il modo di organizzare gli uffici eccessivamente burocratico e superato. Si lavora ancora sulla correttezza formale degli adempimenti e non sui risultati.

L’interpretazione di norme, leggi e regolamenti intricatissimi lascia ampia discrezionalità al singolo funzionario e crea gli spiragli favorevoli per l’infiltrarsi della corruzione.

Nella corruzione ci sono anche dei motivi culturali

Lo Stato è spesso percepito, in vaste aree del paese e forse a causa dello storico susseguirsi di dominazioni straniere, come qualcosa di estraneo, di antagonista.

L’arricchimento è considerato dagli italiani come il principale segno di distinzione e di superiorità sociale. L’aristocrazia del denaro è l’unica gerarchia riconosciuta. I soldi facili costituiscono una tentazione cui, ai più, è difficile resistere. Anche il potere lo si acquisisce col denaro, più che con la competenza.

Il tornaconto personale, l’appartenenza a una famiglia, un clan o una corporazione professionale hanno sempre la meglio nel Belpaese, con ricadute sul rispetto per il bene comune e l’interesse collettivo.

Uno studioso anglosassone ha stigmatizzato questa insufficienza etica degli italiani, definendola “familismo amorale” (Edward C. Banfield, Le basi morali di una società arretrata, ed Il Mulino)

Forse persino la nostra appartenenza alla religione cattolica, al contrario di quanto avviene nell’ambito della religione protestante o addirittura calvinista, ci abitua ad essere indulgenti verso le nostre debolezze e i nostri peccati, e ci invita all’assoluzione invece che alla condanna e all’espiazione.

La corruzione e il civismo

Valori di civismo molto diffusi in democrazie molto più mature della nostra, trovano da noi un’adesione soltanto formale, di facciata. La vita pubblica italiana scorre da sempre sul doppio binario morale dei vizi privati e delle pubbliche virtù, del predicare bene e razzolare male.

La corruzione, intanto, non soltanto crea ingiustizia, ma danneggia pesantemente anche la vita economica della penisola. Quando i giochi sono truccati, a vincere sono i più furbi, non i più bravi.

Se l’azienda che vince un appalto pubblico, per esempio, costruisce opere malfatte, inutili, a costi altissimi, il danno che ne deriva alla collettività è immenso.

“Ungere le ruote” diventa la prassi abituale se l’appartenenza a un clan fa premio sul merito. Nelle scuole, negli uffici, negli ospedali, nelle aziende, nella vita economica in genere di un paese corrotto, vinceranno i mediocri, mentre i più competenti rischieranno di essere esclusi.

La corruzione si può battere

Anzi, si deve battere, se si vogliono vincere le sfide della globalizzazione. Riformando la giustizia, rendendola più celere, riducendo il numero delle leggi, ma aumentando la loro efficacia, migliorando la trasparenza degli atti della pubblica amministrazione e sfoltendo nello stesso tempo il numero di funzionari, remunerandoli meglio e rendendo più efficiente il loro lavoro.

Inoltre è necessario creare le condizioni per una maggiore collaborazione fra gli stati nel perseguire gli illeciti.

Ed infine, soprattutto, bisogna che gli italiani riacquistino i valori di responsabilità e di rispetto verso le regole, nella consapevolezza che l’interesse generale così conseguito è, in ultima analisi, l’autentico vero interesse di tutti noi cittadini e consumatori.

Note

Bibliografia

  • Davigo, P., La giubba del re. Intervista sulla corruzione, Bari, Laterza, 2004
  • Davigo, P., Mannozzi, G., La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Bari, Laterza, 2007
  • Di Pietro, A., Intervista su tangentopoli, Bari, Laterza, 2000
  • Galante Garrone, A., L’Italia corrotta (1895-1996). Cento anni di malcostume politico, Roma, Editori Riuniti, 1996

Turris Libisonis Colonia Iulia?

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Porto Torres fu veramente fondata dai Romani? Turris Libisonis, unica colonia Romana presente in Sardegna, fu, stando alle fonti, fondata da Giulio Cesare che tornando vittorioso dall’Africa nell’estate del 46 a.C. fece scalo nel golfo dell’Asinara 1Plinio Historia Naturalis, III, 85.

Veduta aerea del palazzo di Re Barbaro (Foto Roberto Biosa)

La colonia sorse sulla riva ad Est del Rio Mannu, fiume che con la sua foce originariamente protetta fungeva da approdo naturale. Le fonti classiche non menzionano alcuna resistenza in loco da parte di popolazioni autoctone, ne se ci fu un interazione pacifica. Apparentemente quindi, stando a quanto riportato da Plinio, l’urbe venne edificata ex novo. Questa edificazione, come da consuetudine per l’élite romana, dava la possibilità di colonizzare nuovi territori. I veterani divenuti proprietari terrieri potevano così usufruire delle terre promesse da Roma per arricchirsi e vivere nel lusso delle loro ville.

Il territorio di Porto Torres però è ricco di evidenze archeologiche preromane inquadrate in un contesto cronologico molto vasto, dal neolitico sino alla tarda età del ferro. Già nel 1848 venivano segnalati 36 nuraghi, nel 1901 solo 16 2Fonte: Nissardi , mentre uno studio condotto da Lo Schiavo (1989) ne identificò solamente 8 3PUC Porto Torres 2014.

Il villaggio Nuragico di Biunisi con la sua cinta di mura perimetrale (Foto Roberto Biosa)

A partire dall’Editto delle Chiudende che caratterizzò un mostruoso cambiamento paesaggistico nell’isola durante l’ottocento e che, anche nelle campagne turritane contribuì alla distruzione di siti archeologici, non meno fu il contributo dato dalla costruzione della moderna zona industriale. Questa infatti, vede inglobata al suo interno tre importanti siti dell’età del Bronzo ancora inediti e poco studiati. I Nuraghi Ferrali, Minciaredda e Nieddu sono infatti circondati dalle famose cisterne chiamate “ottantamila” e attualmente non possono essere visitati, se non durante la manifestazione Monumenti Aperti come avvenuto nel 2014 per il Nuraghe Nieddu.

I pochi siti Nuragici ancora identificabili risultano per lo più complessi, anche se di difficile lettura a causa della vegetazione o della distruzione perpetrata nei secoli. Un esempio di questo sono i già menzionati nuraghi Minciaredda e Ferrali, di difficile individuazione, e poi i nuraghi Nieddu, Margone, Sant’Elena, Biunisi e Monte Aiveghe.

Quest’ultimo rappresenta un evidenza molto interessante che potrebbe contrastare il nostro titolo. Si tratta infatti di un nuraghe apparentemente semplice che in realtà cela un altra torre di difficile lettura al suo mastio centrale. Inoltre, cinquanta metri a sud del nuraghe, nella parete rocciosa della collina cosi chiamata “Monte Aiveghe” si trovano circa quattro tombe ipogeiche di difficile attribuzione cronologica che furono utilizzate in tempi moderni come porcilaie. Questo sito, anch’esso ancora non investigato si trova a circa mille metri dalla colonia di Turris. Sulla sponda est del Flumen Turritanum si può individuare con non poca difficoltà la Domus de Janas di Birali, distante circa settecento metri dalla colonia.

I resti del Nuraghe Monte Aiveghe e l’omonima collina sulla sponda Ovest del Rio Mannu
(Foto Roberto Biosa)

È chiaro come le evidenze di una frequentazione e appropriazione del territorio in contesto preromano non manchino nel territorio di Porto Torres. Ciononostante bisogna specificare che per rispondere al nostro quesito iniziale solo delle ricerche scienti che potrebbero darci qualche chiarimento se non anzi lasciarci con qualche nuova domanda. È possibile che la Turris di Turris Libisonis fosse un nuraghe ancora parzialmente conservato all’arrivo dei romani, magari il Nuraghe Monte Aiveghe? O era presente un insediamento con Nuraghe dove oggi sorge il parco archeologico che quindi diede il nome alla città?

Queste sono naturalmente solo ipotesi, che potremo rispondere attraverso delle indagini scienti che presso l’area archeologica Turritana e nei pressi della collina di Monte Aiveghe. È chiaro cosa i romani trovarono al loro arrivo, vestigia gloriose di un passato ormai perduto. Chi trovarono invece? Un posto abbandonato o gli eredi di quest’ultimo?

Bibliografia

  • Angius, V. 1834. In Casalis, G. Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli stati di SM il Re di Sardegna, II, Torino 1833-1857.
  • Plinio Historia Naturalis, III, 85.
  • Lo Schiavo, F. 1989. L’archeologia della Nurra, in Pietracarpina, A. (a cura di), La Nurra, sintesi monogra ca, Sassari, pp. 149-163.
  • Piano Urbanistico Comunale Comune di Porto Torres, 2014. Modello interpretativo dei Beni Archeologici, relazione Storico-Culturale – Beni Archeologici

Nulle le cartelle di Equitalia inviate per posta

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Nulle le notifiche delle cartelle esattoriali inviate da Equitalia via posta raccomandata.

Sono state giudicate nulle le notifiche delle cartelle esattoriali inviate da Equitalia via posta raccomandata e nulli anche gli effetti del mancato pagamento. I contribuenti non saranno, dunque, tenuti a pagare le notifiche ricevute via posta.

Questo è quanto stabilisce la nuova sentenza del giudice della Commissione Tributaria Provinciale di Milano. Pertano, per essere valida la notifica della cartella esattoriale, deve essere consegnata con l’ausilio dei soggetti individuati dalla legge, cioè gli Ufficiali della riscossione, gli Agenti della Polizia Municipale, i Messi Comunali e gli altri soggetti abilitati dal Concessionario nelle forme previste dalla legge. Senza considerare poi che si si prova ad arrotondare per difetto un versamento anche di pochi centesimi, il fisco, attraverso Equitalia, può richiedere decine di euro, arrivando addirittura al 5 mila per cento del dovuto.

Le cartelle di Equitalia e gli arrotondamenti per eccesso

Questo è accaduto, per esempio, a un imprenditore trentino titolare di imprese nel ramo delle costruzioni. Ha sbagliato per difetto il versamento per l’iscrizione alla camera di commercio, che viene pagata in base al fatturato dell’impresa. L’imprenditore ha sbagliato di 0,40 euro, ovvero quaranta centesimi e si è visto recapitare una cartella esattoriale da 21,97 euro, ovvero il 5 mila per cento del dovuto.

E’ l’ultimo caso questo che riguarda Equitalia, dopo anche le minacce da essa ricevuta. Si sono susseguiti, infatti, vari episodi violenti contro le sedi di Equitalia e nelle ultime settimane numerose sedi di Equitalia sono state prese di mira dagli anarchici con una serie di attentati. Il 9 e il 15 dicembre 2011, ad esempio, sono stati inviati due plichi esplosivi alle filiali di Roma. Il giorno di Santo Stefano è stata la volta della sede di Olbia. Nella notte di Capodanno infine è toccato alle agenzie di Modena e di Foggia.

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