Cambiamento climatico. La crisi ambientale è pronta in tavola
Come la crisi ambientale ha chiaramente impattato il modo in cui dobbiamo consumare gli alimenti
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Il cambiamento climatico impatta gravemente sulle nostre vite. Di questo ne siamo al corrente sia d’estate, quando vediamo le temperature in rapida ascesa, sia d’inverno, quando i notiziari parlano delle calotte polari che si sciolgono. Insomma, ne siamo al corrente in tutte quelle situazioni che possono essere riassunte con l’espressione popolare non ci sono più mezze stagioni.
Non siamo però consapevoli di tutto il corollario di problemi alle nostre vite che il cambiamento climatico porta e che, apparentemente, non sembrano avere nulla a che vedere con i fenomeni meteorologici.
La maggior parte delle persone, quando pensa agli effetti del cambiamento climatico, non pensa mai oltre al concetto di perdita della biodiversità. Eppure, la crisi ambientale porta con sé varie problematiche, soprattutto a livello sanitario. Una di quelle problematiche riguarda proprio le nostre abitudini di consumo alimentare e le sostanze negative che ingeriamo con il cibo.
Cambiamento climatico, cibo e contaminazione da microplastiche

Un’indagine dell’Università di Newcastle, commissionata dal WWF, ha osservato che in media consumiamo 5 grammi di plastica alla settimana, ovvero l’equivalente di una carta di credito.
La contaminazione da microplastiche è un problema alimentare importante, che impatta la popolazione mondiale da decenni. Più precisamente tutto è iniziato nel 1973, quando cominciano a essere brevettate le prime bottiglie in PET per l’acqua e le bevande, che hanno aperto la strada ai contenitori alimentari in plastica.
Il contatto del cibo con piatti monouso, contenitori in plastica riutilizzabili o confezioni di materiale plastico in generale porta infatti a una contaminazione importante degli alimenti ed è responsabile dell’elevato circolo di microplastiche nel nostro organismo.
C’è poi la contaminazione chimica da pesticidi e fitofarmaci
Quando si parla di intossicazioni alimentari il primo pensiero va sempre al cibo scaduto o avariato, ma le intossicazioni riguardano anche le contaminazioni da prodotti chimici e veleni.
Quindi non sono solo le plastiche il problema. Secondo l’OMS ogni anno sono oltre 23 milioni le persone che, solo nella zona euroasiatica, si ammalano a causa del cibo che consumano. Di queste sono circa 5 mila che perdono la vita a causa delle contaminazioni alimentari.
Nello specifico, la frutta e la verdura che mangiamo è spesso contaminata da agenti nocivi e pesticidi che finiscono direttamente nel nostro organismo e che di conseguenza possono condurre a malattie che vanno dalla dissenteria fino allo sviluppo di tumori.
Cosa dicono i report
Secondo il dossier annuale di Legambiente del 2024, seppure solo l’1,36% dei cibi analizzati presentava residui di fitofarmaci superiori ai limiti consentiti (chiamati LMR), in generale il 41,32% dei cibi sotto esame presentava tracce di residui di uno o più pesticidi. Questo comporta di conseguenza a un gravissimo pericolo per la nostra salute, dato che sostanzialmente finiamo di rischiare l’intossicazione quando mangiamo prodotti agricoli.
Come conferma lo stesso dossier, anche se in misura ridotta (solo il 3,31% di alimenti di origine animale risulta ‘contaminato’), il rischio non riguarda solo il settore primario, poiché anche la produzione di carne e pesce è legata agli stessi fattori di rischio. Gli animali di cui è composta la dieta mediterranea infatti sono per la maggior parte erbivori, e quindi vittime dell’uso dei fitofarmaci e della presenza di microplastiche, che a causa dell’inquinamento ambientale possono essere trovate su tutta la superficie terrestre.
Non solo agricoltura e allevamenti. La contaminazione arriva anche nella pescagione
Il pesce, d’altro canto, si nutre di ciò che trova in acqua, mangiando spesso spazzatura e assimilando dal mare sostanze chimiche negative come il mercurio, di cui vengono scaricate 85mila tonnellate all’anno solo nel bacino del Mediterraneo.
Secondo la Fondazione Umberto Veronesi, più il pesce è di grande taglia più sono gli inquinanti nocivi che assorbe, rendendo esemplari come il tonno e il pesce spada, ma anche salmone e merluzzo, alimenti a rischio di intossicazione per l’uomo. I pesci piccoli invece, come alici, trote o l’halibut, hanno invece meno possibilità di essere contaminati, dato il loro breve ciclo vitale e la conseguente minore possibilità di assumere sostanze dannose dall’ambiente, ma sono comunque a rischio di ingestione di spazzatura e microplastiche, rischiando di contaminare allo stesso modo e con gli stessi rischi i nostri piatti.
Dieta, chilometro zero, eco-sostenibilità
La crisi ambientale, quindi, ha chiaramente impattato il modo in cui possiamo e dobbiamo consumare gli alimenti, ma non solo: A causa delle pratiche inquinanti e delle cosiddette “politiche verdi” che si traducono in greenwashing messe in atto su scala internazionale, i cibi importati hanno prezzi al caso migliore fluttuanti oppure alti e fissi.
Questo, teoricamente, dovrebbe portarci a favorire il mercato locale, che però proprio perché tale rincara sui prezzi sfruttando il marchio del “Chilometro Zero”, rendendo la spesa per i prodotti agricoli economicamente insostenibile per un italiano medio, che si trova sempre a consumare cibo contaminato.
Questo ha portato le nostre abitudini alimentari a cambiare radicalmente. Dove prima le verdure e la frutta erano una parte fondamentale nel pasto per la tradizione mediterranea, ora i prodotti a disposizione sono di qualità inferiore e il prezzo è schizzato comunque alle stelle.
In sintesi mangiamo sempre più spesso cibi non salutari, saturi e processati solo perché abbattono il nostro scontrino al supermercato, ma che poi hanno un impatto ecologico superiore a causa dell’utilizzo di quintali di imballaggi in plastica (che come abbiamo precedentemente appurato, contaminano il nostro cibo) e prodotti derivanti da pratiche ambientali meno sostenibili come quelle degli allevamenti intensivi e della sovrapproduzione.
Siamo dunque vittime di un circolo vizioso ambientale di matrice capitalista, dal quale non abbiamo i soldi per uscire e quindi continuiamo a comprare prodotti non sostenibili che riducono progressivamente il nostro potere d’acquisto e ci rendono incapaci di uscire da questa situazione.
Dunque il cambiamento climatico stravolge tutto. Ma noi cosa possiamo fare?
D’altronde, il problema vale anche per i produttori. Un mancato uso di fitofarmaci comporta infatti una perdita superiore di prodotto durante la raccolta a causa degli organismi e delle piante su cui agiscono pesticidi ed erbicidi, con conseguente perdita economica per l’agricoltore.
Si potrebbe pensare a un boicottaggio, ma sarebbe impraticabile: Il settore primario produce la maggior parte degli alimenti che consumiamo abitualmente, a partire dai vegetali agli alimenti sostitutivi della carne e dei formaggi come burger vegetali, burger di soia o tofu, ma anche tutti quei prodotti derivanti dal grano come pasta e pane (e tutti i prodotti a base farinosa) o ancora i condimenti e le bevande naturali oppure spezie, olio e vino. Boicottare questa filiale significherebbe eliminare due terzi della piramide alimentare dalla nostra dieta, compromettendo gravemente il nostro stato di salute e di nutrimento.
L’unica soluzione potrebbe essere quella di ricercare i produttori sostenibili (ed economici) che operano nelle nostre zone, quando non ci è possibile produrre autonomamente gli alimenti e adottare abitudini di consumo e di acquisto sostenibile.
Note
- WWF – Plastic ingestion press singles [pdf];
- COREPLA – Storia della plastica;
- WHO – Industrially contaminate sites;
- WHO – Fao, Who set an example of collaborative action for safe food with a systems approach;
- Legambiente – DOSSIER_PESTICIDI 2024 [pdf];
- Fondazione veronesi – Sano come un pesce con alici, trote e halibut.

Redattore presso Nuova Isola. Fondatore vocigiovanili.it