Mar. Giu 17th, 2025

F. Pitzoi

Direttore responsabile presso Nuova Isola. Ex giornalista pubblicista.

[RICERCA DEL GIORNO] Folklore nella cultura alimentare sarda

Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp

Con questa ricerca tratteremo il modo in cui la cultura alimentare sarda si è legata col tempo all’antichissimo al folklore locale. Andremo a vedere come con certi rituali, spesso legati a suggestioni e credenze locali, le persone tentavano semplicemente di alleviare la vita di ogni giorno.

Non solo Pane: Folklore nella cultura alimentare sarda

Da sempre l’umanità ha individuato negli alimenti, o nei derivati animali e vegetali, tanto gli elementi utili a garantire la sopravvivenza in senso stretto, quanto gli aspetti delle valenze magico/rituali in funzione terapeutica o scaramantica.

Queste ultime a volte sconfinano in quella che è comunemente definita superstizione, a volte invece, alla luce delle nuove scoperte scientifiche, si dimostrano realmente in grado di sconfiggere determinate malattie o di prevenirne l’insorgere.

Numerosi ricercatori hanno affrontato questo argomento con taglio diverso secondo la loro specializzazione.

Così abbiamo avuto, di volta in volta, spiegazioni di tipo sociologico, antropologico, psichiatrico e religioso ecc…

Non è mia intenzione tentare ulteriori analisi particolareggiate, per le quali rimando agli autori dei testi specifici della bibliografia essenziale citata

Semplicemente vorrei mostrare alcuni di questi aspetti legati agli alimenti, e rilevare come, nonostante la pressione delle culture egemoniche, che da sempre hanno tentato di sopprimerle, siano arrivate pressoché intatte fino ai giorni nostri e che solo oggi, stiano realmente svanendo nell’oblio a causa della massificazione dei costumi e della scomparsa della cultura orale tradizionale, che in alcuni casi era la sola deputata a tramandarle.

Storie di tradizione orale

Alcuni di questi riti magico/terapeutici sono già stati registrati, altri sono a tuttora assenti nei vari testi di d’etnologia.

Si riesce a venire a conoscenza solo dopo ore, o addirittura giorni, di paziente conversazione con le persone anziane.

Queste, infatti, tendono a riportare fatti per lo più già noti, o comunque che si sono conservati anche nella memoria più recente, chiudendo così il discorso con l’interlocutore.

Ma se si presenta loro la dovuta attenzione, anche quando si parla magari d’altro, improvvisamente salta fuori qualcosa di nuovo.

Qualcosa che magari era stato rimosso da una sorta di censura etica, o forse solo dimenticato.

Del resto, tutte le occasioni importanti, nell’arco dell’anno o della vita umana, sono sancite da tradizioni particolari, volte, come ho già detto, a tutelare un’esistenza che si prospetta precaria e in balia di eventi sconosciuti e ingovernabili.

Rituali esoterici per alleviare la vita

Cristiano Cani – Paste e dolci tipici della Sardegna

Ecco allora le storie di spiriti, di anime in pena che causano sofferenze, se non si rabboniscono in qualche modo.

Non si tratta di veri e propri riti di tipo apotropaico, bensì di azioni volte a migliorare le condizioni dei vivi, e con loro anche dei defunti, che spesso si aggirano ancora nel mondo nell’attesa della pace eterna, e che potrebbero essere addirittura parenti delle persone che “vanno a visitare”.

Queste si preoccupano quindi di rendere più lieve la loro attesa, con preghiere o azioni materiali volte a soddisfare le supposte necessarie.

A questo punto, anche il pianto, apparentemente senza motivo, di un bambino piccolo, che tra le braccia dei genitori non trova conforto, e nel lettino ancora meno, può essere causato da qualcosa di soprannaturale.

Ai genitori, ormai stremati, era consigliato, solitamente da un’anziana della famiglia, di mettere un pezzo di pane sotto il cuscino del piccolo, questi sotto la spinta della disperazione eseguivano, il bambino, dopo un po’, tornava tranquillo (non è dato sapere dopo quanto tempo) e con lui anche i genitori.

Le anime che lo infastidivano, trovato il pane, si erano messe a mangiare lasciandolo finalmente tranquillo.

Che le anime se ne andassero in giro giorno e notte cercando di mangiare non è una novità (basti pensare all’antico Egitto), ma in Gallura, ancora ai primi del novecento (e in alcune zone, anche oggi) la Notte dei Santi, si allestiva un vero e proprio banchetto ad uso e consumo delle stesse.

Una tovaglia bianca, apparecchiatura festiva, pane, vino e cibo, erano poggiati sul tavolo della cucina, la porta che si affacciava verso l’esterno era lasciata aperta e la famiglia andava a letto.

Le anime avrebbero avuto di che soddisfare la fame. Al mattino il tavolo era ripulito.

Nessuno aveva visto niente, solo a qualcuno era parso di sentire dei rumori provenienti dal locale in cui era esposto il cibo, ma del resto, chi mai si sarebbe sognato di andare a controllare?

Ovviamente poi, il fatto che il cibo fosse scomparso, dava ragione a chi quest’usanza continuava a perpetuarla

Solo qualcuno iniziava ad insinuare che forse non di anime si trattasse, ma di mendicanti o bontemponi…Inutile dire che la teoria era destinata a cadere inascoltata, o addirittura tacciata di eresia (ovviamente al contrario).

Anche la notte del 1° agosto si procedeva in modo simile

In quest’occasione si preparava un cunchinu di chjusoni (un bel piatto di gnocchi) conditi con formaggio e pomodoro fresco e, questa volta, si metteva sul davanzale.

Anche in questo caso, alle prime ore del giorno, il piatto era ripulito e le anime imbonite, con gran soddisfazione degli abitanti della casa che da questo fatto traevano auspici favorevoli per tutta la famiglia.

Di questa consuetudine rimane traccia nell’abitudine, ancora viva in alcune zone della Gallura, di preparare il 1° agosto, questa pietanza. Non sappiamo però se solo per i vivi, oppure anche per i trapassati.

Tradizioni al giorno d’oggi ormai perse

Un giustificato pudore impedisce di ammettere, oggi, una tale abitudine, anche per non essere esposti al ludibrio dei più “colti”.

Un’altra forma scaramantica, questa volta un po’ più complessa, anche perché gli informatori non sanno dare spiegazioni in merito, è quella di lu casju parafocu (il formaggio che ferma il fuoco).

In questo caso, il Giorno dell’Ascensione, l’allevatore/agricoltore prelevava una forma di cacio dalla scorta annuale, e, dopo averci inciso sopra, con un coltello, una croce, la conservava in un angolo della casa fino al termine della stagione estiva.

Questa forma possedeva la virtù di proteggere tutto il territorio, di proprietà dell’esecutore, dai temutissimi fuochi estivi.

Anche se, come già detto gli informatori non sanno spiegare questa usanza, da quanto dicono, pur non dichiarandolo apertamente, si può desumere che rappresentasse una sorta di tutela contro il male estremo per antonomasia.

Oltre a queste forme scaramantiche, altri espedienti costituiscono una via di mezzo tra queste e la medicina popolare.

Vi è, infatti, una fusione tra elementi magico – rituali ed altri che potrebbero avere, se opportunamente studiati, un riscontro spiegabile scientificamente.

Prendiamo ad esempio l’Ociu Casgju, preparato il giorno dell’Ascensione

Prendiamo ad esempio l’Ociu Casgju (olio del formaggio) che era preparato il Giorno dell’Ascensione.

In quella data si “segnavano” capretti e agnelli e si marchiavano i manzi. Mentre gli uomini attendevano a queste incombenze le donne preparavano il pranzo.

In questa occasione era d’uopo cucinare la mazza frissa, una salsa di condimento per gli gnocchi ottenuta con la panna di latte.

Durante la cottura, la panna rilasciava l’olio in essa contenuto, questo era raccolto in un vasetto e conservato per tutto l’anno come unguento medicinale, specificamente per lu mali di la ula e lu custuppatu (mal di gola e bronchi impegnati).

Spalmato sul torace e poi ricoperto cu la calta biaitta di la pasta (la carta straccia azzurra della pasta sfusa) o cu la bambacia (ovatta) era considerato infallibile.

In altre zone quest’olio veniva preparato il 3 febbraio.

In questo caso ci troviamo di fronte ad una corrispondenza perfetta tra il rito popolare e quello religioso,

Perché in questa data la Chiesa Cattolica celebra S.Biagio vescovo e martire (III-IV sec.)

A lui sono riconosciute qualità di taumaturgo, protettore degli animali, Santo dei fidanzati e… guaritore del mal di gola.

Questo perché avrebbe guarito un bambino che stava per morire soffocato da una spina di pesce;

Ma mentre la chiesa festeggia in quel giorno “la candelora”e nella cerimonia sacra sul collo dei fedeli il celebrante poggia una candela benedetta che poi, portata a casa, verrà utilizzata tutto l’anno con questa funzione.

Il popolo utilizza le sostanze che ha a disposizione, e che, se vogliamo, sono anche affini (cera – grasso) con le stesse finalità.

C’è da sottolineare che il fatto di sottolineare che il fatto di strofinare il torace con un unguento, causando il riscaldamento della zona interessata, potrebbe, in effetti, portare ad un miglioramento delle condizioni dell’ammalato.

Se poi questo unguento è stato preparato il giorno dell’Ascensione, e quindi nel periodo in cui le piante sono quasi al culmine delle loro proprietà curative, si può ipotizzare che parte delle loro sostanze attive si siano trasferite nel latte e quindi nel nostro olio.

È chiaro che sono solo ipotesi senza fondamento certo, ma quanta di questa saggezza popolare non è stata prima irrisa e poi accolta?

Si pensi semplicemente all’uso delle erbe, da sempre patrimonio della tradizione popolare ed ora accettata e ricercata da tutti.

Diverso il discorso dell’Uovo del giorno del 25 marzo

Qui, o ci si crede, o non ci si crede. Gli “antichi” ci credevano! L’uovo deposto dalla gallina il 25 Marzo, vale a dire nove mesi prima della nascita di Gesù, quindi nel giorno ipotetico del Suo concepimento, veniva raccolto e conservato in un luogo inaccessibile fino a Natale.

Non si doveva toccarlo per nessun motivo, pena la riuscita del “prodigio”, se ci si atteneva a queste regole, il giorno di Natale l’uovo sarebbe stato ormai di cera

A questo punto diventava anch’esso medicinale e, passato sulla gola malata, la guariva, poggiato su un arto dolorante ne leniva il dolore ecc…Questi sono solo alcuni esempi della miriade di riti che l’uomo ha ricercato o creato per risolvere i problemi di ogni giorno.

Oggi ci fanno sorridere, e forse ci meravigliamo dell’ingenuità dei nostri nonni, disposti a credere a simili panzane, ma…Stiamo bene attenti, perché, come si dice: “Quel che buttiamo via dalla finestra, rientra dalla porta”.

Quanti di noi, infatti, non si sono mai sentiti dire da qualcuno, non necessariamente più anziano: “Bevi il caffè stando seduto, altrimenti non diventerai mai ricco!”

E soprattutto, chi non si è seduto immediatamente, dopo una simile minaccia?

Quanti di noi, ancora, non si sono accodati alle schiere degli adepti della Notte di Halloween, muniti di zucca e sonagli, pronti ad andare in giro, all’insegna della nuova cultura egemone, per chiedere “dolcetto o scherzetto”? invece di: “Li molti e molti”, senza pensare che la festa di Halloween non è nient’altro che un rito simile a quelli che volutamente abbiamo seppellito, bollandoli come dabbenaggini da ignoranti.

Infine, visto che il filo conduttore del nostro discorso è la tradizione alimentare.

Come facciamo a sorridere dei nostri vecchi, che traevano auspicio da un piatto di gnocchi lasciato sul davanzale o dalle foglie d’olivo nummati (cui era dato il nome di un uomo e quello di una donna), gettate sul piano incandescente dei focolare se poi, puntualmente andiamo a guardare l’oroscopo del giorno.

E a Capodanno, per quanto già satolli, non rinunciamo a mangiare le lenticchie che, per il nuovo anno, saranno foriere di soldi?

E pensare che il Capodanno in Sardegna, una volta era in settembre …Una volta!

Note

Bibliografia

  • Alberto M. Cinese, Cultura egemonica e culture subalterne, Pa. Palombo 1978.
  • Paolo Toschi, Guida allo studi delle tradizioni popolari, To. Boringhieri 1971
  • Giuseppe Cocchiera, Storia de folklore in Europa, To. Boringhieri 1972
  • Francesco Alziator, Il folklore sardo, Bo. La Zattera 1957
  • Francesco De Rosa, Tradizioni popolari di Gallura, Bo. Arnaldo Forni 1989
  • Maria Azara, Tradizioni popolari di Gallura – Dalla culla alla tomba – Roma Italiane 1943
  • Gino Bottiglioni, Vita sarda – folklore, racconti e leggende, Mi. Trevisani 1925
  • Ernesto De Martino, Magia e civiltà, Mi. Garzanti 1962
  • Francesco Cossu, Tradizioni popolari di Gallura, SS. Chiarella 1974
  • Mario Atzori, Maria M. Satta, Credenze e riti magici in Sardegna – Dalla religione alla magia, SS. 1980
  • Marua Margherita Satta , Riso e pianto nella cultura popolare – Feste e tradizioni sarde, SS. Asfodelo 1982
  • Nicolino Cucciari, Magia e superstizione fra i pastori della bassa Gallura, SS. Chiarella 1985

FAO: Fame, è record storico. Oltre un miliardo di persone affamate

Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp

La fame nel mondo raggiunge un nuovo record: Per la prima volta nella storia umana, oltre un miliardo di persone in tutto il mondo risultano sottonutrite.

Lo rende noto la Fao, che ha rivisto al rialzo le stime per il 2009 sul numero di persone che soffrono la fame, indicando la cifra di 1,02 miliardi.

Tale cifra supera di oltre 100 milioni il livello dell’anno scorso e rappresenta circa un sesto della popolazione mondiale.

Questo aumento della fame a livello mondiale – spiega la Fao – non è la conseguenza di raccolti insoddisfacenti, ma della crisi economica mondiale che ha ridotto i redditi e aumentato la disoccupazione.

E anche nelle nazioni sviluppate la denutrizione è divenuta un problema crescente, riguardando 15 milioni di persone.

La fame nel mondo ha mostrato un trend di lenta ma continua crescita nell’ultimo decennio

Deb Haaland – Raccolta alimentare in Nuovo Messivo (2019)

La fame nel mondo – sottolinea l’agenzia delle Nazioni Unite – ha mostrato un trend di lenta ma continua crescita nell’ultimo decennio.

Quest’anno il numero di persone vittime della fame è previsto crescere globalmente dell’11%, secondo le stime della Fao basate su analisi del Dipartimento per l’Agricoltura degli Stati Uniti.

Quasi l’intera popolazione sotto-nutrita vive nei Paesi in via di sviluppo ma una fetta di 15 milioni riguarda i Paesi sviluppati.

In Asia e nel Pacifico circa 642 milioni di persone soffrono di denutrizione cronica; nell’Africa Sub-Sahariana 265 milioni; in America Latina e nei Caraibi 53 milioni; nel Vicino Oriente e nel Nord Africa 42 milioni.

La situazione di crisi economica di alcuni Paesi in via di sviluppo – nota la Fao – è anche aggravata dal fatto che i trasferimenti monetari (le rimesse) degli emigrati nei loro Paesi d’origine sono diminuiti sostanzialmente nel corso di quest’anno, causando una notevole riduzione delle riserve estere e dei redditi familiari.

La diminuzione delle rimesse, insieme al previsto declino degli aiuti ufficiali allo sviluppo, ridurrà ulteriormente la capacità dei Paesi di avere accesso al capitale necessario a sostenere la produzione e a creare reti di sicurezza e schemi di protezione sociale per i poveri.

Mentre i prezzi alimentari sui mercati internazionali sono diminuiti nel corso degli ultimi mesi, i prezzi interni nei Paesi in via di sviluppo sono scesi assai più lentamente e sono rimasti più alti in media del 24% alla fine del 2008 rispetto al 2006.

DIOUF, ADOPERARSI TUTTI CON URGENZA PER SRADICARLA

La Fao nota infine che i prezzi dei generi alimentari di base, sebbene siano diminuiti, restano ancora più alti del 24% rispetto al 2006, e del 33% rispetto al 2005.

“Questa silenziosa crisi alimentare costituisce un serio rischio per la pace e la sicurezza nel mondo. Abbiamo urgentemente bisogno di creare un largo consenso sul totale e rapido sradicamento della fame nel mondo, ed intraprendere le azioni necessarie ad ottenerlo”.

Lo afferma il direttore generale della Fao, Jacques Diouf, commentando la stima dell’agenzia Onu di un livello record di oltre 1 mld di persone affamate nel 2009.

L’attuale situazione dell’insicurezza alimentare nel mondo non ci può lasciare indifferenti


“L’attuale situazione dell’insicurezza alimentare nel mondo non ci può lasciare indifferenti – aggiunge Diouf – Le nazioni povere devono essere dotate degli strumenti economici e politici necessari a stimolare la produzione e la produttività del loro settore agricolo”.

“Gli investimenti in agricoltura – conclude Diouf – devono aumentare, perché per la maggioranza dei Paesi poveri un settore agricolo in buone condizioni è essenziale per combattere i problemi della fame e della povertà, ed è un prerequisito indispensabile per la crescita economica generale”.

Note

  • Foto di copertina File (Wikimedia Commons)
  • Grafica copertina ©RIPRODUZIONE RISERVATA
  • Fonte: ANSA
  • Articolo originariamente pubblicato nel 2009

[PALEONTOLOGIA] Lluc, il nuovo antenato dell’uomo

Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp

È nato nel Mediterraneo, e non in Africa, il più antico degli antenati dell’uomo: parola di Lluc, l’ominide vissuto 11,9 milioni di anni fa e scoperto in Spagna.

La rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti, Pnas ha pubblicato ilsuo “ritratto”, dall’aspetto moderno rispetto a quello delle altre scimmie antropomorfe.

A studiare questo nuovo antenato dell’uomo, il cui nome scientifico è Anoiapithecus brevirostris, è il gruppo spagnolo dell’Istituto catalano di Paleontologia, in collaborazione con il gruppo italiano del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Firenze.

Il ritrovamento fornisce elementi nuovi nella comprensione della storia delle origini della nostra famiglia, Hominidae, che oltre all’uomo include orango, scimpanzé e gorilla“, osserva Lorenzo Rook, del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Firenze, che ha partecipato alla ricerca coordinata dallo spagnolo Salvador Moyà-Solà.

La scoperta di Lluc è avvenuta in Catalogna, nella località l’Anoia (che ha ispirato il suo nome scientifico), presso Hostalets de Pierola.

È vissuto nel Miocene medio ma i suoi resti, pochi ma ben conservati, rivelano un aspetto moderno, con un prognatismo molto ridotto.

Sono arrivati fino a noi parte della faccia e della mandibola, ma per gli studiosi sono sufficienti a dimostrare che le scimmie kenyapithecine sono da considerare il “sister taxon” degli ominidi attuali, vale a dire “il gruppo arcaico più vicino agli ominidi, quello in cui gli antenati dell’uomo affondano le radici“, spiega Rook.

La scoperta, prosegue lo studioso, indica inoltre che “la regione mediterranea è stata l’area di origine della nostra famiglia“.

Dalla ricostruzione fatta sulla base dei resti, risulta che Lluc era un maschio

Il restauro e la preparazione dei resti, spiegano gli studiosi, “sono stati molto lunghi ed estremamente delicati a causa della fragilità del reperto, ma una volta che il fossile è stato pienamente disponibile per lo studio analitico, la sorpresa è stata enorme“.

Il fossile, spiegano, “ha un aspetto mai visto in nessun primate fossile miocenico” e il suo aspetto “é confrontabile tra gli ominidi solamente con il prognatismo del nostro genere, Homo“.

Tuttavia, aggiungono, la morfologia della faccia non indica che Anoiapithecus abbia relazioni di parentela diretta con Homo, ma potrebbe essere il risultato di una convergenza morfologica.

Note


[ECONOMIA] Crisi o ripresa?

Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp

L’incertezza e le crisi dei mercati internazionali hanno portato un malessere generale sulle iniziative e sullo sviluppo delle microimprese, da sempre ruota trainante delle economia nazionale.

La burocrazia e l’ottusità delle istituzioni non incoraggia l’imprenditore o l’impresa consolidata ad effettuare ulteriori investimenti.

I “consumatori” che preferiscono privilegiare i risparmi alle spese, timorosi del futuro, la mancanza di dati precisi sulla congiuntura mondiale e dei settori veramente trainanti.

Siamo in una situazione in cui la possibilità di trovare un posto di lavoro “fisso” sta diventando un miraggio, e la speranza di pianificare una vita diventa un sogno difficile da raggiungere.

Sembra una catastrofe, forse no

Esistono ancora dei settori dove la piccola impresa e l’autoimpiego possono creare profitto, basta buona volontà e iniziativa per creare dal niente un’attività autonoma e redditizia, ricordiamoci che la nostra Regione può ancora dare tanto, sia nei settori dell’artigianato e del turismo.

Bisogna fare uno sforzo e capire che “il rischio imprenditoriale” non è una malattia mortale è qualcosa che si può riuscire a gestire e trarre qualcosa di buono.

In questo periodo si parla tanto di crisi economica e molte persone la vedono con pessimismo e si spingono a fare delle previsioni addirittura catastrofiche.

Vedere la crisi con occhi diversi, intravedendo delle opportunità anche in una fase così delicata significa avere una visione ottimistica della vita.

L’ottimismo ci aiuta anche e soprattutto nei momenti difficili e fa scorgere opportunità laddove altri vedono solo nero.

Anche i mass media pigiano sull’acceleratore della crisi e, pur di fare audience, continuano a parlare dell’attuale fase economica come se tutto il mondo dovesse crollare, come se non ci fosse via d’uscita.

In questa fase si possono scorgere i veri ottimisti, persone che riescono a vedere il bicchiere mezzo pieno anche in situazioni di difficoltà estrema quando dominano il pessimismo e la paura, la crisi sembra più nera di quanto non lo sia nella realtà e si prevede il peggio.

Bisogna quindi guardare l’attuale fase economica con spirito ottimista, ma con razionalità, convincendoci che si può uscire da un periodo nero col pensiero positivo avendo però l’accortezza di passare all’azione: quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare…

Nel cervello c’è solo spazio per una delle due cose: ottimismo e pessimismo

Queste non possono coesistere: un pizzico di pessimismo è un ottima fonte di realismo, ma affondarci dentro vuol dire fare la fine del Kamikaze.In altre parole se si profetizza che tutto andrà male è probabile che il futuro ci darà ragione per il semplice fatto che saremo noi, in primis, a contribuire all’avverarsi della profezia.

Assumere un approccio più ottimista e positivo non può che far bene: il che non vuol dire illudersi ma cercare di affrontare I problemi con uno spirito più energico e propositivo.

E non si tratta solo di buoni propositi e belle parole, ma anche di pura neuropsicologia: è infatti un fatto scientifico che chi adotta un approccio positivo verso le cose si rivela più energico e riesce più facilmente ad uscire da una situazione problematica.

Insomma, se preferite piangetevi addosso e strizzate i fazzoletti, ma questo potrebbe solo peggiorare la situazione.

Per dirla come un saggio se hai male al piede non ti sarà di grande utilità darci sopra dei colpi di clava.

Note


CERVELLO: In molti l’ONESTÀ è innata

Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp

L’onestà è nel cervello e chi ne è dotato non ha bisogno di trattenersi dall’imbrogliare ma si comporta in modo naturalmente onesto, senza sforzi.

Lo dimostra uno studio di Joshua Greene e Joseph Paxton della Harvard University di Boston, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

Grazie a questo studio, quindi, gli esperti hanno messo a punto un ‘test dell’onesta”, per capire chi è onesto di indole e chi, invece, se ha l’occasione tende ad imbrogliare.

Riportato sul magazine scientifico New Scientist, lo studio potrebbe avere risvolti pratici discutibili: una volta validato, un test simile potrebbe essere usato, per esempio, per ‘controllare’ gli impiegati e la loro onestà sul luogo di lavoro.

Il test dell’onestà si basa su un gioco semplice, il lancio di una moneta

I partecipanti devono scommettere sull’esito (testa o croce) del lancio; nella prima parte del test, prima del lancio, i volontari devono scrivere su un foglio cosa prevedono esca.

Nella seconda parte, invece, devono dire, a lancio avvenuto, se avevano previsto giusto (e quindi sta a loro dire se hanno vinto o meno la scommessa).

È ovvio che questa dichiarazione sta alla loro onestà personale, perché potrebbero imbrogliare e dire di aver ‘azzeccato’ l’esito del lancio e quindi vinto la scommessa.

Eppure, in molti casi i volontari sembrano rispondere con onestà senza approfittare dell’opportunità di imbroglio; mentre altri tra loro (lo si capisce con la statistica di successo della previsione) imbrogliano di certo, dicendo di aver previsto bene l’esito del lancio.

Durante queste dichiarazioni i neurologi hanno monitorato aree del loro cervello, come la corteccia prefrontale, legate alle decisioni e al controllo dei comportamenti, usando la risonanza magnetica funzionale.

Così hanno visto che nel cervello degli onesti non si accendono queste aree prima di dichiarare che hanno vinto o perso la scommessa; viceversa esse si accendono nel cervello degli imbroglioni.

Secondo i neurologi, ciò significa che l’onestà è un comportamento di default che non richiede autocontrollo da parte del cervello, come a dire che per gli onesti non vale il detto “l’occasione fa l’uomo ladro”. I disonesti, invece, devono pensare al fatto se sfruttare o meno l’occasione di imbrogliare.

Note


[TASSI D’INTERESSE] Occhio ai mutui: Fisso conviene sempre!

Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp

Italia Paese del ‘caro-mutui’: quelli a tasso fisso non accennano a calare, mentre su quelli variabili rimane l’incognita ‘spread’, spesso molto elevato e quindi maggiormente rischioso in caso di rialzi dei tassi di riferimento a livello europeo.

È quanto risulta dalle elaborazioni delle associazioni di consumatori che sottolineano come, nel caso del fisso, i tassi applicati siano “perfino superiori al 6%”, contro un tasso Bce all’1%“; quelli variabili, anche se attualmente più contenuti, sono anche più “pericolosi”, perché soggetti ad eventuali aumenti futuri della banca centrale europea.

Proprio per questo, “anche nell’attuale fase si continua a consigliare tassi fissi”.

A mettere in guardia i consumatori è Elio Lannutti (Adusbef) che ha anche stilato una classifica degli istituti convenienti a seconda delle diverse tipologie di mutuo richiesto.

Dalla classifica emerge, ad esempio, che per un mutuo a 10 anni l’offerta più conveniente sul variabile viene dal Monte dei Paschi di Siena.

Sull’altro fronte, Barclays Bank risulta essere la banca che impone i tassi variabili più alti, al contrario dei tassi fissi, dove invece offre le rate più convenienti.

Adusbef, spiega una nota, “ha elaborato una comparazione dei migliori tassi offerti dalle maggiori banche, sia fissi che variabili per un mutuo di 200.000 euro con durata decennale, ventennale e trentennale“.

L’associazione dei consumatori consiglia ai mutuatari di evitare quanto accaduto in passato. Quando 3,2 milioni di famiglie su 3,5, Seguendo i consigli delle banche, furono costrette ad indebitarsi a tassi indicizzati più bassi.

Precisamente accadde che:

Seguendo i consigli delle banche, furono costrette ad indebitarsi a tassi indicizzati più bassi, soprattutto per la strategia degli istituti di credito che avevano ritirato dal mercato i prestiti a tasso fisso, con le ricadute negative su rate aumentate anche del 50% a seguito dell’aumento del costo del denaro.

Ecco alcune rilevazioni sui tassi elaborate da Adusbef

MUTUO 10 ANNI

L’offerta più conveniente viene da Che Banca con un Taeg del 5,04%, sebbene il Tasso annuo nominale più basso sia quello di IntesaSanpaolo e Banca Popolare di Bari (entrambe con Tan del 4,85%). Cariparma impone i tassi più alti: Tan del 5,61%, Taeg 5,94%.

MUTUO 20 ANNI

I tassi crescono da mezzo a circa un punto rispetto al mutuo decennale. L’offerta più vantaggiosa è di Che Banca: con un Taeg del 5,57%. BNL presenta il Tan più basso (5,35%) ma il Taeg risultante (5,65%) è maggiore di quello di Che Banca. Il taeg più alto è imposto da BHW col 6,08%.

MUTUO A 30 ANNI

Da Banca Woolwich e Barclays Bank gli interessi più bassi, al di sotto del 5%: per entrambi il Tan è del 4,70% e il Taeg è del 4,87%. L’offerta più pesante è quella di Banca Sella: Tan del 5,87% e Taeg del 6,24%.

TASSO FISSO

In assoluto, per le tre scadenze (10, 20, 30 anni) il mutuo a tasso fisso più conveniente è quello trentennale offerto da Banca Woolwich e da Barclays Bank, con interessi al di sotto del 5% (per entrambe le banche: Tan 4,70% e Taeg del 4,87%), con rate per 1.037 euro mensili.

Sempre per le tre scadenze, il mutuo a tasso fisso più costoso è quello trentennale di Banca Sella, con un Taeg del 6,24% e rata di 1.182 euro. Il Taeg incorpora le spese di istruttoria (da 250 a 300 euro) e quelle di perizia (circa 300 euro).

TASSO VARIABILE

L’interesse applicato è pari a circa la metà di quello applicato ai mutui a tasso fisso. Per un mutuo a 10 anni, l’offerta più conveniente viene da Mps con un Taeg del 2,28% e con un Tan del 2,12%. È Barclays ad imporre i tassi più alti, con un Tan del 2,88% ed un Taeg pari al 3,03%.

Note

  • Articolo pubblicato originariamente nel 2009
  • Foto di copertina File (Wikimedia Commons)
  • Grafica copertina ©RIPRODUZIONE RISERVATA
  • Fonte: ANSA

MANGIARE MENO allunga la VITA, le scimmie confermano

Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp

È proprio vero che mangiando poco si vive più a lungo

Anche le scimmie che sono animali così simili a noi, seguendo una dieta ipocalorica, diventano più longevi.

È la prima volta che l’effetto della dieta sulla longevità viene dimostrato su un animale così vicino all’uomo. Cosa che fa ben sperare anche per chi di noi voglia ‘barattare’ una lunga vita con una tavola un po’ meno ricca.

Ad affermarlo é uno studio pubblicato sulla rivista Science, dall’equipe di Richy Colman della University of Wisconsin-Madison.

Dopo 20 anni di studio su un campione di scimmie è risultato che una dieta ipocalorica ma nutriente assicura la longevità e ritarda l’insorgenza di malattie tipiche della terza età come cancro, diabete, patologie cardiovascolari.

Alimentazione e longevità sono state associate da tanto tempo e sono ormai numerosi gli studi scientifici che dimostrano su svariate specie animali che mangiare meno allunga la vita.

Si parla di restrizione calorica, ossia di seguire una dieta ipocalorica ma comunque nutriente, sana

Ma è chiaro che se un vermetto o un topolino vivono di più quando ‘tenuti a stecchetto’, ciò non è motivo sufficiente per dire che anche gli uomini diventano più longevi se sottoposti a restrizione calorica.

Un uomo è ben diverso da un topo e da un verme, ma è molto simile alle scimmie e ai macachi, nostri vicini ‘parenti’

Gli esperti hanno quantificato l’apporto calorico giornaliero di quelle lasciate libere di mangiare e sulla base di esso hanno messo a punto la dieta ipocalorica delle altre.

Gli esperti quindi hanno studiato scimmie Reshus dividendole in due gruppi, uno che ha mangiato a piacimento, l’altro che mangiava il 30%

In venti anni di osservazione la metà delle scimmie che mangiano liberamente è morta, l’80% di quelle a dieta è ancora viva

È difficile condurre uno studio simile su esseri umani.

Di fatto però la scimmia è un ottimo modello sperimentale per dimostrare che mangiare un po’ meno (in termini di calorie ma in modo equilibrato) rende longevi.

Note


L’ambiente è in condizioni peggiori dell’economia: 16.928 specie a rischio

Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp

Con una dettagliata analisi della Lista rossa (Red List) delle specie minacciate, a ridosso del countdown 2010 fissato dai governi per ridurre la perdita della biodiversità, il rapporto ‘Wildlife in a changing world’ dell’Iucn parla chiaro: “l’obiettivo del 2010 non sarà raggiunto“.

La vita sulla Terra è in grave pericolo“, e “nonostante l’impegno dei leader del mondo a invertire la tendenza”, la crisi della natura è “peggiore della crisi economica“: è lo scenario descritto nel rapporto redatto dall’Unione mondiale per la conservazione della natura (International union for conservation of nature).

I segnali sono evidenti e sotto gli occhi di tutti: oceani e mari senza pesci, la perdita di oltre un quarto delle barriere coralline, niente insetti impollinatori, cambiamenti climatici che “mangiano” ecosistemi e il 25% dei mammiferi sulla strada dell’estinzione.

Obiettivo 2010 – Per il vicedirettore del programma specie dell’Iucn, Jean-Christophe Vie:

È il momento di riconoscere che la natura è la più grande società di lavoro sulla Terra, a vantaggio del 100% di tutta l’umanità. I governi dovrebbero sforzarsi nel risparmiare la natura come nell’economia

Fino al 2010, dice il direttore generale della Red list dell’Iucn, Craig Hilton Taylor, “la comunità mondiale deve usare saggiamente questa relazione“, mentre per il presidente dell’Iucn species survival commission, Simon Stuart.

Se non affrontiamo le cause di insostenibilità del nostro Pianeta, i nobili obiettivi dei governi per ridurre il tasso di estinzione non contano nulla

Sos natura – La relazione, pubblicata ogni quattro anni, analizza 44.838 specie della Red list

Lo studio mostra che 869 specie sono estinte e come si arrivi a 1.159 aggiungendo le 290 specie a rischio di estinzione contrassegnate come probabilmente estinte.

Nel complesso, almeno 16.928 specie sono minacciate di estinzione.

Considerando che è stato analizzato solo il 2,7% degli 1,8 milioni di specie descritte, è “un numero che fornisce una sottostima, ma offre un utile quadro di ciò che sta succedendo a tutte le forme di vita sulla Terra“.

Oceani senza pesci e cambiamenti climatici – I cambiamenti climatici, in parte, contribuiscono alla perdita di habitat ‘mangiando’ le caratteristiche principali dei diversi ecosistemi.

Con una quota significativa di specie che non sono attualmente minacciate di estinzione ma che sono sensibili ai cambiamenti climatici

Questo include il 30% di uccelli non minacciati, il 51% di coralli non minacciati e il 41% dei non-anfibi minacciati. Viene segnalato anche un rapido declino per i coralli.

Secondo la relazione in Europa, per esempio, il 38% di tutti i pesci sono minacciati e il 28% in Africa orientale.

Negli oceani, il quadro è altrettanto “desolante”: una vasta gamma di specie marine stanno vivendo “una potenziale irreversibile perdita” dovuta a pesca eccessiva, cambiamenti climatici, specie invasive, sviluppo costiero e inquinamento.

Almeno il 17% delle 1.045 specie di squali, il 12,4% di cernie e 6 tartarughe marine su 7 sono minacciate di estinzione.

Il 27% delle 845 specie di coralli sono a rischio, il 20% è minacciato da vicino e per il 17% deve esser valutato.

A rischio il 25% dei mammiferi – La relazione dell’Iucn mostra come quasi un terzo degli anfibi, più di uno su otto, siano uccelli e quasi un quarto dei mammiferi sono minacciati di estinzione.

La distruzione degli habitat, attraverso agricoltura, disboscamento e sviluppo, sono la principale causa.

Per i mammiferi, è insostenibile la caccia, che è la minaccia più grave dopo la perdita di habitat. Questo, sta avendo un grande impatto in Asia, dove la deforestazione ha un tasso molto rapido.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Note

  • Foto di copertina File (Wikimedia Commons)
  • Articolo pubblicato nel 2009
  • Grafica copertina ©RIPRODUZIONE RISERVATA
  • Fonte: NOTIZIE.TISCALI.IT

Salvare il pianeta in vacanza: i consigli green

Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp

La salvezza del Pianeta non va in vacanza. Per questo, il cittadino, nemmeno in ferie dovrebbe dimenticare che non bastano solo gli accordi dei leader per ridurre le emissioni di CO2 ma che anche le singole azioni possono fare la differenza.

Essere ‘verdi’ anche in vacanza sembra più facile ora grazie ai consigli che il viaggiatore può trovare con sempre più facilità da agenzie turistiche e siti internet che indirizzano verso scelte il più eco-possibili.

Il sito britannico Carbon friendly flight finder ad esempio, funziona come un comparatore di prezzi dei voli aerei, ma oltre ai prezzi dei viaggi fornisce le tonnellate di CO2 emesse nella tratta prescelta.

Per volare da Roma a Londra ad esempio, non tutte le compagnie sono uguali in quanto a emissioni, e per semplificare la lettura, i voli a basse emissioni sono visualizzati in varie gradazioni di verde, quelli più inquinanti in rosso.

STOP EMISSIONI: Il primo passo verso un viaggio ecosostenibile comincia dalla valigia

Regola numero uno, viaggiare leggeri

Come suggerisce il sito Carbon Consultancy. Gli studi hanno dimostrato che ridurre il bagaglio riduce le emissioni legate a ogni passeggero.

Una volta arrivati a destinazione poi, ecco alcuni consigli di Carbon Consultancy, con cui concorda anche il WWF: Per ridurre le emissioni non necessarie preferire i mezzi pubblici ai taxi per muoversi, meglio ancora sarebbe noleggiare la bici, ecologica e economica.

Attenzione però a rispettare l’ambiente, restare sui sentieri e sui percorsi segnalati, soprattutto all’interno delle aree protette.

Non pensare solo alle emissioni. Non lasciare mai rifiuti di alcun genere e comunque preferire le bottiglie di vetro a quelle di plastica per dissetarsi


E ancora, una volta tornati in albergo, per ridurre le emissioni limitare al necessario l’uso di energia elettrica inclusa quella per l’aria condizionata e per la produzione di acqua calda, spegnere le luci e assicurarsi di aver chiuso i rubinetti quando si esce dalla stanza d’albergo.

Rinunciare al cambio quotidiano degli asciugamani e delle lenzuola fa già molta differenza al nostro ambiente così malato.

Alcuni souvenir costano in termini ecologici molto più di quanto li si abbia pagati

E da ultimo, portare a casa un ricordo del viaggio è sempre bello ma attenzione, alcuni souvenir costano in termini ecologici molto più di quanto li si abbia pagati: pensiamoci due volte quindi, prima di acquistare qualunque oggetto naturale, fatto con parti di animali o piante.

(in copertina immagine di repertorio Nuova Isola)

©RIPRODUZIONE RISERVATA


[STORIA ANTICA] Spartaco il ribelle

Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp

La storia del gladiatore che tra il 73 e il 71 a. C. guidò una rivolta di schiavi, mise a ferro e fuoco il Sud Italia e diede filo da torcere ai romani.

Per alcuni fu il primo guerriero marziale della storia, lo stesso Marx, in una lettera al “compagno Engels“ nel 1861 lo definì “un genuino rappresentante del proletariato antico“.

Eppure quel Che Guevara in anticipo sui tempi non aveva mai sentito parlare né di socialismo, né di plusvalore, né tanto meno del barbuto filosofo tedesco, alla cui nascita mancavano ben 19 secoli.

E se qualcuno gli avesse nominato la lotta di classe, lui avrebbe pensato ad una battaglia navale, perché in latino classis vuol dire anche flotta.

Si chiamava Spartaco, era gladiatore, nato forse nel 109 a.C. In Tracia (l’attuale Turchia europea)

Morì a 38 anni dopo combattendo in Basilicata contro Marco Licinio Crasso, futuro triunviro, che faccia avesse non si sa, ma molti lo immaginano coi capelli biondi e la fossetta sul mento di Kirk Douglas, che nel 1960 lo interpretò in un film “Sparacus“.

Oltre a quel film, nell’ultimo secolo la Spartaco Story ha ispirato saggi, romanzi, opere d’arte, partiti e persino squadre sportive.

Il nome Spartak dilaga negli stadi d’Europa da Mosca a Busto Arsizio, con massima densità nei paesi dell’Est.


Ma chi era il vero Spartaco?

Per ricostruire la sua storia ci si basa essenzialmente su sei autori antichi, due greci (Appiano e Plutarco) e quattro di lingua latina (Sallustio,Eutropio,Floro e Orosio), che però in comune hanno ben poco.

Infatti Sallustio era un senatore della Sabina (fra Lazio e Abruzzo), supporter di Giulio Cesare, Eutropio, nato a Bordeaux, un pagano vissuto quando il paganesimo era già alla frutta (lV secolo), Orosio, un aggressivo polemista cristiano portoghese, fedelissimo di sant’Agostino.

Appiano faceva invece l’avvocato ad Alessandria d’Egitto, mentre Plutarco era un raffinato intellettuale di Atene, animalista ante litteram, e Floro un magrebino che in casa parlava il dialetto berbero.

Eppure benché lontani per epoca, patria e cultura, almeno gli autori latini un dato comune ce l’hanno: di Spartaco parlano male tutti.

Eutropio gli imputa “molte calamità“ , Floro ne dà un giudizio sprezzante (da soldato a disertore, poi predone) e dice che “distrusse con orrendi eccidi“ varie città.

Il testo di Sallustio è monco, ma basta per tacciare gli spartachisti di “ira barbarica“, infine Orosio definisce “infame“ la rivolta, accusa i ribelli, di una loro prigioniera violentata e morta suicida.

Ma è tutto vero?

Almeno Orosio va preso con le pinze.

Ciò sia perché scrisse 500 anni dopo i fatti, quindi basandosi su fonti di quarta mano, sia perché i suoi erano testi a tesi. Volevano dimostrare quanto male avesse prodotto il passato di Roma rispetto al benefico presente cristianizzato.

Ma da guardare con sospetto non è solo Orosio

Osserva un biografo moderno di Spartaco, Aldo Schiavone, docente all’Istituto Italiano di scienze umane di Firenze: come per altre grandi figure che hanno combattuto contro Roma (il cartaginese Annibale o il gallo Vercingetorige) tutto ciò che si sa di Spartaco lo dobbiamo a quel che hanno ricordato di lui i suoi mortali nemici.

Le immagini della tradizione antica sono un riflesso di quelle fissate negli occhi dei vincitori.

Eppure se dagli autori latini si passa ai greci, almeno una voce fuori dal coro c’è

Infatti Plutarco pur confermando le violenze dei ribelli, attribuisce la colpa di tutto allo stato disumano in cui vivevano gli schiavi.

“Rinchiusi a forza per la lotta gladiatoria, non per aver commesso gravi colpe ma per l’ingiustizia del loro padrone“, dallo stesso Plutarco ci giunge l’unico ritratto positivo di Spartaco, uomo “dotato non solo di grande coraggio e forza fisica, ma anche per intelligenza e dolcezza superiori alla sua condizione“

Predone o dolce eroe dunque?

Ripartiamo dai fatti, tutto iniziò quando in Italia era da poco finita l’epopea dei Gracchi ed in Africa fumavano ancora le rovine di Cartagine, distrutta da meno di 35 anni.

Fu allora che in un villaggio dei Rodopi (i Monti delle rose, oggi tra Bulgaria e Turchia), abitato dalla tribù trace dei Maidi, venne al mondo il futuro gladiatore.

All’epoca i Maidi non erano ancora sudditi di Roma, che però aveva già incluso nei suoi domini la vicina Macedonia.

Qualche tempo dopo (87 a.C.), quando Spartaco era ventenne o poco più, la Tracia diventò, come metà dei Balcani, un teatro di manovra delle legioni romane, dirette ad est per combattere il Re dei Parti, Mitriade.

In quell’ambiente di frontiera il giovane Spartaco fece ciò che poi fecero molti indiani d’America durante le guerre coloniali anglo-francesi: si arruolò nell’esercito che pagava meglio.

Quando come e per quanto tempo il futuro ribelle abbia offerto i suoi servigi agli invasori, non si sa, ma la notizia è certa

Eutropio, sinteticamente ma chiaramente, dice che Spartaco “aveva combattuto un tempo con i romani“ e il magrebino Floro conferma.

Per via indiretta si può dedurre il resto.

Per esempio che Spartaco militò quasi sicuramente nella Vl legione, detta Macedonica dalla zona dove operava, o che il suo primo capo fu Silla, futuro dittatore di Roma, fino all’83 Kapò militare dei balcani.

Ma la carriera di mercenario non durò, presto Spartaco disertò e diventò “il predone“

Perché? Schiavone avanza un’ipotesi suggestiva anche se basata solo su indizi logici: Spartaco avrebbe disertato nel 77, quando il successore di Silla, tale Appio Claudio Pulcro attaccò i Maidi.

A quel punto Spartaco si sarebbe riunito ai suoi nella resistenza “diventò un ribelle e per i romani un bandito“ commenta Schiavone, in realtà era un guerriero, una sorta di partigiano.

Ma anche la carriera di partigiano durò poco

Non oltre il 75 l’ ex legionario fu catturato con sua moglie (una sacerdotessa di Dionisio) e ridotto in schiavitù.

La Tracia, prosegue Schiavone, era in quegli anni con le Gallie, uno dei bacini di approvvigionamento per il sistema schiavistico romano.

Spartaco finì a Roma e lì fu comprato da un lanista (impresario-allenatore) di Capua, Lentulo Baziato.

All’epoca Capua aveva un attivissimo anfiteatro, con annessa un’atroce scuola-prigione gladiatoria, dove uomini atletici e sfortunati si riciclavano in tori da corrida, ad uso di una torma sadica di spettatori urlanti.

Gli allievi della scuola venivano abituati all’idea che l’unico metodo per sopravvivere era scannare qualcun altro.

Un incubo insomma. In quell’inferno spartaco rimase un anno scarso

Arrivato nel 74 a.C., nel 73 a.C. era già evaso, lo fece con altri compagni di sventura (minimo 30 secondo Floro, minimo 78 secondo Plutarco).

Iniziò così quella che Roma chiamò poi “Terza guerra servile“ (le prime due scoppiarono in Sicilia nel 135 e nel 104 a.C.) e gli spartachisti moderni “guerra proletaria“ .

Che gli evasi fossero proletari veri, cioè uomini che non avevano “nulla da perdere se non le loro catene“, però nei loro bagagli, invece di falci e martelli, c’erano spiedi e coltelli.

Erano armi rudimentali, più da cuochi che da guerriglieri, infatti Plutarco riferisce che erano state prese in una cucina.

Vagando nelle campagne gli evasi incrociarono alcuni carri carichi di spade e forconi da gladiatore destinati, curiosa coincidenza, all’Anfiteatro di Capua.

Dopo l’ovvio assalto ai carri, i 78 (o meno) si equipaggiarono a dovere e, a marce forzate, andarono ad arroccarsi tra le vigne del Vesuvio, prima “terra liberata“ della rivolta.

Là scelsero tre capi: due galli (Crisso ed Enomao) e il trace Spartaco

All’inizio il Senato non si rese conto della portata di quei fatti, prima lasciò il compito di ristabilire l’ordine pubblico alle deboli truppe locali, che ebbero subito la peggio, poi inviò da Roma quattro coorti (circa 2.500 uomini) al comando di un ingenuo pretore, Claudio Gabro.

Egli si limitò a bloccare i sentieri della montagna, pensando che i ribelli si sarebbero arresi per fame e sete.

Grave errore, una notte i gladiatori intrecciarono delle funi usando tralci di vite, quindi si calarono da una parete, presero gli assedianti alle spalle e li decimarono.

Le prime vittorie permisero a Spartaco e soci di prendere tre piccioni con una fava, si sottrassero all’assedio, si rifornirono di armi migliori prese ai militari battuti, ed infine si fecero pubblicità calamitando nuove reclute.

Così quando da Roma arrivò un nuovo pretore, Publio Varinio, non si trovò poche decine di sbandati bensì un esercito, secondo Floro, di 10 mila uomini.

Seguirono mesi di guerriglia di logoramento

Prima gli spartachisti annientarono in un agguato una colonna nemica comandata da un luogotenente di Varinio, tale Furio, poi piombarono in una villa tra Ercolano e Pompei, dove un altro luogotenente (Cossinio) stava tranquillamente facendo il bagno e lo uccisero.

Ucciso Cossinio, venne il turno di Varinio, sconfitto presso Nola (Napoli). A pochi mesi dall’evasione, Spartaco era padrone di fatto della Campania e di mezzo Meridione.

Ma quanto si era rivelato abile nella tattica militare, tanto fu inconcludente nella strategia, dando inizio ad un percorso contraddittorio su e giù per l’Italia che si concluse in Calabria, da dove tentò di passare in Sicilia con l’aiuto di alcuni pirati che però lo bidonarono.

Che cosa si proponeva l’ex gladiatore con quella lunga marcia?

La spiegazione di Plutarco è che Spartaco intendeva varcare le Alpi e poi dare il rompete le righe in modo che tutti tornassero alle rispettive patrie.

Fu però ostacolato dagli altri leader della rivolta, che preferivano saccheggiare le opulente città del Sud.

Non tanto Enomao, morto in una delle prime battaglie, quanto Crisso, che ad un certo punto si separò da Spartaco e si diresse in Puglia.

Dei contrasti che minavano la solidità dell’armata ribelle, Roma non sapeva nulla, e quando Spartaco attraversò due volte l’Italia Centrale.

Dopo i pretori del 73, i Senato mandò i consoli del 72, Lucio Gellio e Cornelio Lentulo.

L’unico che ottenne un parziale successo fu Gellio, che al Gargano uccise il dissidente Crisso, ma poi entrambe i consoli furono sconfitti e costretti alla fuga.

Solo nel 71 a.C. il vento cambiò

Ad invertirne la direzione fu Marco Licinio Crasso, l’erede politico di Silla.

Patrizio durissimo e ricchissimo, cui il Senato affidò ben otto legioni, costui esordì accusando di viltà i veterani che avevano già affrontato Spartaco e con metodi proto-nazisti ne fece uccidere 50, scelti con il metodo della decimazione.

Poi, quando fu sicuro che i soldati temevano più lui che il nemico, puntò contro i ribelli.

Il contatto avvenne presso Reggio, dove Spartaco vivacchiava scornato dopo il fallito trasbordo in Sicilia, in realtà contatto è una parola grossa, perché sulle prime Crasso sigillò i ribelli in un lembo di costa, scavando loro intorno un fossato profondo 15 piedi (4,5 metri) e lungo 300 stadi (circa 55 chilometri).

Accanto al fosso costruì un alto muro, tipo quello che oggi corre tra Israele e i territori palestinesi.

Per Spartaco chiuso tra muro e mare pareva finita, eppure in un sussulto di vitalità l’ex gladiatore riuscì ancora una volta a rompere l’assedio in una buissima notte di tormente e a riparare con i suoi in Lucania.

Ma era il canto del cigno. Scoperta la sortita, Crasso attaccò i ribelli

Prima di buttarsi nella mischia Spartaco uccise il suo cavallo, proclamando pare “Se perdo non servirà più, se vinco ne avrò altri “.

Si avverò la prima ipotesi, l’ex schiavo morì combattendo e il suo corpo fu fatto a brandelli e non fu mai trovato.

Con lui, narra Appiano, caddero sul campo 60 mila, peggio andò ad altri 6 mila, presi vivi e poi crocifissi sulla strada a nord di Capua, dove tutto era iniziato e Roma visse felice e contenta.


In conclusione

Anche se è diventato un simbolo per le laicissime sinistre de 900, Spartaco non era affatto un ateo materialista.

Anzi a quanto si può capire, era profondamente influenzato da certi culti misterici di origine orientale, che a quei tempi avevano permeato tutto il mondo ellenistico, compresa la Tracia, la terra da dove Spartaco proveniva.

Solo in questo quadro si capisce l’importanza che Spartaco stesso attribuì a un sogno fatto poco dopo il trasferimento in catene a Roma.

Mentre dormiva il futuro gladiatore vide un serpente che gli si avvicinava e risaliva lungo il suo corpo fino ad avvolgergli completamente il volto.

Destatosi di soprassalto, riferì tutto alla moglie che era stata catturata assieme a lui, e lei, esperta di culti dionisiaci (ovvero riti a forte componente sessuale, durante i quali sacerdoti e fedeli cadevano in una sorta di trance orgiastica)

Diede questo responso: il sogno annunciava una vita di “enorme potenza“, che però avrebbe avuto una fine tragica.

Note