Referendum 8 e 9 giugno. Fratelli e fratellastri d’Italia
L’elmo di Scipione Africano, quello decantato da Mameli nel Canto degli Italiani, sembra essere troppo stretto per accogliere tutti i suoi figli.
Puoi seguire Nuova Isola comodamente iscrivendoti al nostro canale Whatsapp
Italiani veri, ma non per tutti. In Italia, secondo un’elaborazione di Openpolis, nel 2023 erano 1 milione i ragazzi di seconda generazione (ovvero quelli nati in Italia ma con genitori immigrati, NdR). Si parla di ragazzi e ragazze che hanno studiato in Italia tutta la vita. Per intenderci queste persone pensano, scrivono e leggono in italiano. Alcuni di questi già lavorano oppure lavoreranno in Italia, contribuendo allo sviluppo del nostro territorio, del nostro paese e della nostra economia, pagando le tasse qui.
Immigrati di seconda generazione. Non solo i nati in Italia
Nella seconda generazione, però, possono rientrare secondo alcuni studiosi anche i figli di quei migranti che non sono nati in Italia, ma sono stati portati qui dai genitori già da piccolissimi. Queste persone infatti affrontano lo stesso percorso di un bambino nato in Italia da genitori italiani o di un bambino nato in Italia da genitori stranieri. Attualmente però per questi casi l’iter per la cittadinanza non è lo stesso.
Partiamo dall’inizio. Come si ottiene la cittadinanza
Per i figli di genitori italiani vige il diritto di sangue (lo ius sanguinis) per il quale è italiano ogni persona con almeno un genitore con cittadinanza italiana. Per le persone nate da genitori stranieri nati in Italia, nella maggior parte dei casi, la cittadinanza può essere richiesta al compimento del diciottesimo anno di età, a patto di poter dimostrare di aver vissuto ininterrottamente in Italia da tutta la vita. Chi è nato all’estero da genitori stranieri, invece, la procedura è molto più complessa.
I nati all’estero da madre e padre stranieri
Se i genitori non acquisiscono la cittadinanza quando i bambini sono ancora minorenni, scattato il diciottesimo anno di età i ragazzi possono fare richiesta come ogni altro cittadino straniero, a patto di essere in possesso di requisiti specifici:
- Residenza stabile in Italia da dieci anni;
- Conoscenza certificata della lingua italiana almeno a livello B1;
- Reddito minimo di 8.263,61 euro all’anno, a patto di essere celibi o nubili (altrimenti la cifra sale);
- Assenza di condanne penali.
Queste regole valgono solo per i cittadini extracomunitari. I cittadini UE invece possono richiedere la cittadinanza dopo soli quattro anni, se sono già in possesso degli altri requisiti.
Gli italiani lasciati indietro. Burocrazia e requisiti irragiungibili

Letto così, a discapito dell’evidente discriminazione tra cittadini europei e non europei, potrebbe anche sembrare un processo abbastanza lineare, ma bisogna considerare vari fattori.
In primis, la residenza stabile si dimostra con i contratti d’affitto, che spesso i proprietari di casa tendono a non fare in regola, o con le prove dell’acquisto di una casa e la residenza legale presso quell’indirizzo, quando però acquistare una casa costa parecchi soldi che spesso neanche gli Italiani per ius sanguinis hanno.
In secondo luogo, se consideriamo il reddito, quello dev’essere dimostrato da contratti in regola e soprattutto dev’essere continuativo nei tre anni precedenti alla richiesta. Con la condizione del precariato in Italia, dove spesso si è costretti ad accettare di lavorare senza contratto o dove si viene licenziati ingiustamente dal giorno alla notte, il requisito del reddito continuativo è già difficilmente ottenibile, e comunque da solo non basta.
Le procedure burocratiche spesso si protraggono per anni. Questi si aggiungono ai già dieci di residenza, arrivando quindi anche a quindici o vent’anni. I giudici nel mentre cancellano o rimandano udienze, le leggi cambiano e le procedure si modificano. Questo trasforma la cittadinanza italiana in un’oasi nel deserto per tutti quegli Italiani che ancora non lo sono su carta.
Come si è arrivati al referendum dell’8 e 9 giugno
L’anno scorso, il comitato di Referendum Cittadinanza, sostenuto da varie forze politiche di centro, centrosinistra e sinistra, ha lanciato un referendum di iniziativa popolare volto a modificare il tetto da dieci a cinque anni per i cittadini extra comunitari.
In soli 20 giorni, gli italiani hanno aderito in massa all’iniziativa raggiungendo 637.487 firme (su 500.000 necessarie, raggiunte il 24 settembre 2024), mandando più volte in down il sito del Ministero della Giustizia volto alle iniziative popolari. La Corte Costituzionale, poi, ha dichiarato ammissibile il referendum, e gli elettori sono stati convocati alle urne per i prossimi 8 e 9 giugno.
Referendum cittadinanza. Figli d’Italia ma non suoi cittadini
Ispirato da uno degli ultimi post dell’account Instagram dell’attivista Madonnafreeda dal titolo Fatevi cinque giorni nella vita di un immigrato, poi vediamo se cinque anni sono troppo pochi, decido di cercare qualcuno che abbia vissuto sulla sua pelle l’iter per capirne meglio le implicazioni.
Quando parlo con Maria Pascaru, studentessa ventisettenne di Anglistica presso La Sapienza, mi dice subito che lei vive qui da vent’anni ed è arrivata dalla Moldavia da quando ne aveva sette. Si è integrata, ha studiato e frequentato amici e compagni italiani.
«Quando sei piccolo non capisci perché le persone si comportino in questo modo con te o perché tu venga percepito come un alieno». Ci ridacchia sopra, mentre mi racconta della scuola. Mi dice anche di essere cresciuta con una madre single.
Quest’ultimo fatto ha danneggiato i suoi requisiti, a causa del reddito familiare troppo basso che non le permetteva di fare richiesta di cittadinanza. Alla fine è riuscita a farla solo a dicembre 2021, ottenendola a dicembre 2024.
Nessuna scorciatoia o privilegio. Solo un riconoscimento
«Moltissimi miei amici mi hanno detto che era scontato che avessi dovuto averla per il modo in cui mi sono integrata, per quanto parlo bene visto che molti italiani non sanno usare nemmeno il congiuntivo [ride], per tutto quello che io, mia madre e mio fratello abbiamo investito qui».
Mi parla poi delle sue difficoltà:
«Dieci anni te li fai, devi avere un aggancio economico per potertelo permettere perché ormai il posto fisso non si trova più. Quando ho fatto richiesta, Salvini aveva fatto alzare di cinquanta euro il bollettino, e che fai, te li paghi. Con i documenti da far tradurre all’ambasciata si alza tutto a tre piotte (trecento euro, NdR) più o meno».
«Quando dovevamo firmare [per l’approvazione del referendum], io non potevo ancora e facevo girare e firmare agli amici perché non era ancora molto conosciuta l’iniziativa».
Continua, prima di dirmi che sta cercando di capire come fare la tessera elettorale per votare al referendum e quanto si senta felice di non dover più fare la fila per rinnovare il permesso di soggiorno.
«È un’Odissea continua, chi dice che la regalano a tutti non ha idea di quanto faccia schifo quel sito (il sito delle richieste per la cittadinanza, NdR), ti chiedono pure i peli che hai sul corpo».
Poi, infine aggiunge:
«Mia madre se n’è accorta, di come veniamo trattati in maniera diversa da quando abbiamo la cittadinanza, sono molto più gentili con noi».
(in copertina immagine di repertorio Edmond Dantès)

Redattore presso Nuova Isola. Fondatore vocigiovanili.it